CAVALESE – Quando era ragazzo, dopo una giornata di lavoro in segheria, tornava a casa in bicicletta, in salita, inseguendo il trenino: "Il mio unico obiettivo – ricorda – era batterlo". Perchè Franco Nones, che compie oggi 80 anni, era nato con dentro quel sogno di vincere. Sogno che si realizza il 7 febbraio del 1968 quando "quel ragazzo ventisettenne della Val di Fiemme", come lo chiamavano i cronisti di allora, vinse l'oro alle olimpiadi di Grenoble nella 30 chilometri.
Mai prima di lui era stato scalfito il dominio dei nordici in questa disciplina. "Sono stato il primo atleta al mondo non scandinavo e non russo a vincere una medaglia d'oro olimpica nello sci nordico. La prima medaglia d'oro olimpica in assoluto della Guardia di finanza". Oggi festeggia il compleanno con la moglie Inger che conobbe in Svezia durante gli allenamenti che precedettero la vittoria olimpica. Quando Nones vinse, il più diffuso quotidiano svedese del pomeriggio pubblicò la foto di Inger con il titolo "Il mio Franco ha vinto". "Festa in totale riservatezza – dice – bisogna avere il coraggio di dire di aver paura del covid, aspetto il vaccino, dopo sarò più tranquillo”.
Gli ottant'anni di Franco Nones, leggenda dello sci di fondo
Nones, quel è il segreto di quella vittoria? Ora che sono passati 53 anni, può raccontarlo.
"Ero andato in Svezia a rubare il mestriere agli svedesi, a spiare come vivevano, come si allenavano, come mangiavano. E siccome mi ero reso conto che facevano esattamente come facevamo noi, mi sono convinto che si poteva anche batterli".
Gli scandinavi giganti, nati con gli sci ai piedi come noi col pallone, lei con un fisico minuto. Ma come ha fatto il Davide della Val di Fimme contro i Golia nordici?
"Metà sciata di potenza, l'altra metà sciata lunga, per me la fatica era un gran piacere, e cercavo di sfruttare al meglio la mia dote di sciare spendendo poca energia. Quel 7 febbraio del 1968 era una bellissima giornata, una temperatura perfetta, la sciolina impossibile da sbagliare: non c'è stato un attimo di respiro, ho sempre dovuto 'scappare' dai nordici che avevo alle calcagna. Dopo i primi 500 metri sono passato in testa, e sono arrivato con 50 secondi di vantaggio".
Però i suoi biografi, in particolare il sacerdote che la segue nel suo cammino spirituale, dice che l'ultimo chilometro l'ha corso sì scappando dai suoi inseguitori scandinavi, ma anche pregando…
"C'è un po' di esagerazione. Vero è che avevo promesso, in caso di vittoria, che sarei andato a Lourdes".
Cosa rappresentava per lei, "ragazzo della Val di Fiemme", vincere l'oro olimpico a Grenoble.
"Ho fatto capire al resto del mondo che i nordici non erano imbattibili".
Dopo quell'oro l'Italia ha scoperto lo sci di fondo, fino ad allora praticato da pochi appassionati.
"Sì, la vittoria portò un grande entusiasmo, tre anni dopo, esattamente 50 anni fa, organizzammo la prima Marcialonga che copiammo dalla Vasaloppet. 'Se ce la fanno gli svedesi, ci eravamo detti, ce la faremo anche noi'. Poi organizammo il Trofeo Topolino, e dopo mollai l'attività agonistica per cominciare la mia attività commerciale, sempre aiutato da mia moglie Inger".
A proposito di Marcialonga, ieri si è svolta la 48esima edizione in versione light a causa delle restrizioni anti covid. Era opportuno organizzarla?
"Io penso di sì. Credo che sia un bel mesaggio per la gente che ha paura, da un anno è chiusa in casa, sapere che con una buona organizzazione, e con il rispetto delle regole, la vita va avanti".
Dal 1968 il mondo dello sport è cambiato, e negli sport di fatica, compreso lo sci di fondo, ha cominciato a girare il doping che ha macchiato tante vittorie. Cosa ne pensa?
"Ai nostri tempi non si sapeva che cosa fosse il doping. L'atleta deve avere la testa sulle spalle e ragionare. Se dovessi dire la mia opinione, meglio pensare alla vita piuttosto che pensare a rovinarsela".
Pochi lo sanno, ma lei è un uomo molto religioso, di una fede mistica.
"Per me la preghiera è molto importante e la fede mi ha aiutato moltissimo quando ho vissuto la peggior tragedia che possa capitare a un genitore, la morte di mia figlia quando aveva 25 anni".
Ora che ha tagliato il traguardo degli 80 anni, si guarda indietro, e pensa…
"… E penso che 40 anni fa, quando fui colpito da un aneurinoma acustico, dentro di me mi dissi, 'chissà se arriverò a 50 anni'. Ecco, la vita mi ha regalato altri quarant'anni. E di questo ringrazio dio".