MELBOURNE – Australia terra di grandi bellezze naturali e di contraddizioni. Nella patria dello sport c'è una ferita che non si è mai rimarginata, quella del razzismo. E' l'unica nazione del Commonwealth a non avere accordi formali con i nativi e la questione aborigena ha un'enorme peso anche sullo sport del paese oceanico. Sono tantissimi i giocatori aborigeni che hanno giocato e giocano ancora nel football australiano, ma nonostante questo sia la "normalità", non sono mancati e non mancano episodi di razzismo.
A finire nuovamente nell'occhio del ciclone è il Collingwood Football Club, gigante della palla ovale oceanica. Secondo un rapporto dell'University of Technology di Sydney, pubblicato dall'Herald Sun, all'interno di una delle big dell'Australian Football League (AFL) ci sarebbe una "cultura del razzismo sistemico". Secondo questa analisi, infatti, la formazione di Melbourne avrebbe per anni licenziato e punito i dipendenti che tiravano fuori la questione nonostante le rassicurazioni del presidente Eddie McGuire. Il numero uno dei Magpies era già finito sotto accusa anni fa dopo le scioccanti parole di un ex giocatore, Héritier Lumumba, che aveva puntato il dito contro il suo presidente e il resto della squadra accusandoli di razzismo. Il giocatore di origini africane, infatti, aveva sostenuto di essere stato etichettato come "scimpanzé" sin dal suo primo giorno di allenamento e che il soprannome che gli avessero assegnato i compagni fosse appunto "Chimp". Lumumba ha poi fatto causa al Collingwood e all'AFL e la sua storia ha ispirato il film "Fair Game" del 2017 diretto da Jeff Daniels.
Dopo quello scandalo Eddie McGuire aveva deciso che avrebbe sistemato la questione per evitare che la parola "razzismo" venisse associata nuovamente al suo club, ma secondo il rapporto, il Collingwood avrebbe amaramente fallito la sua missione. Le azioni intraprese per contrastare il problema – si legge nell'analisi – sarebbero state fatte solo per proteggere il marchio del club e mai realmente per evitare ulteriori "vittime" tanto che l'atteggiamento societario sulla questione era ed è sempre quello di "negare".
I ricercatori della University of Technology di Sydney per stilare il rapporto hanno intervistato dozzine di giocatori, membri dello staff, del club e tifosi concludendo che coloro che hanno sollevato questioni legate al razzismo sentivano di aver pagato un prezzo troppo alto per aver parlato. "Ciò che è chiaro – scrive il rapporto – è che il razzismo nel club ha provocato danni profondi e duraturi ai giocatori aborigeni e africani. Il razzismo ha colpito loro, le loro comunità e ha stabilito norme pericolose per il pubblico". Il rapporto ha poi sottolineato come ci sia "una forte opinione esterna al club secondo cui, ogni volta che si verifica un incidente razzista nell'AFL, il Collingwood è in qualche modo coinvolto". Secondo il rapporto, gli incidenti spesso coinvolgevano giocatori o fan del club di Melbourne che abusavano razzialmente dei giocatori di un'altra squadra.
Come nel 2013 quando il giocatore Adam Goodes, il più importante player aborigeno della storia dell'Australia, venne definito "scimmia" da un giovane fan di Collingwood di appena 13 anni presente sugli spalti. All'epoca dei fatti il presidente McGuire si scuso pubblicamente con l'allora giocatore del Sydney Swans per quanto accaduto per poi andare in radio qualche giorno dopo e scherzarci su suggerendo al giocatore di iscriversi al musical di King Kong. Parole che fecero scalpore, ma che non minarono l'autostima del numero uno dei Magpies che non rinunciò alla presidenza nonostante in molti chiedessero le dimissioni. Il rapporto ha, infine, rilevato un "autentico riconoscimento dei fallimenti passati e un forte desiderio di fare meglio" all'interno del club.
Per questo motivo in una conferenza in cui hanno preso parte oltre al presidente McGuire, anche il CEO, Mark Anderson, e i membri del Comitato per l'integrazione, Peter Murphy e Jodie Sizer, il numero uno del club ha ammesso che "dopo 128 anni di storia, il club è fortemente intenzionato a combattere il razzismo e che si impegnerà a lottare contro ogni tipo di discriminazione". McGuire che lo scorso mese ha annunciato che avrebbe lasciato la presidenza nel 2021, non ha ancora reso noto quando lo farà realmente.
La lotta contro il razzismo è ancora lunga, in Australia come nel resto del mondo. Il nuovo anno per il paese oceanico, però, si è aperto con un'importante novità, il cambiamento di una parola nell'inno nazionale che da tempo faceva discutere. Nei primi versi, infatti, l'inno recitava "Australians all let us rejoice, for we are young and free", "gioiamo australiani, perché siamo giovani e liberi". Al centro della polemica c'era la parola "young" che si riferiva al colonialismo cancellando di fatto la storia degli aborigeni. Ora "young" è stata sostituita con "one", "gioiamo australiani, perché siamo una cosa sola e liberi". Sperando che quel "one" acquisti sempre più valore nei cuori delle giovani generazioni.
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