Basterebbe il triste destino di Asmelash Woldeselassie, accanitosi sul suo proprio corpo, per illustrare la brutalità dei conflitti che ciclicamente insanguinano le montagne del Tigrai etiopico. A cominciare dal 1975, quando Asmelash rimase accecato dallo scoppio di un ordigno durante un bombardamento del regime di Addis Abeba contro il nascondiglio delle Tigray People's Liberation Front (Tplf), le milizie tigrine a cui l'uomo si era appena unito. Le stesse con cui nel 1991 marciò verso Addis Abeba per rovesciare la dittatura del feroce Mengistu Haile Mariam. Nel 1998, quando scoppiò la guerra con l'Eritrea, Asmelash perse un braccio in un raid aereo contro Macallè, capitale del Tigrai. E poche settimane fa, nuovamente costretto a nascondersi in montagna assieme agli uomini del Tplf, Asmelash è stato ucciso dall'esercito federale assieme ad altri veterani, tra i quali l'ex ministro degli Esteri, Seyoum Mesfin, e l'ex ministro degli Affari federali, Abay Tsehaye.
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Ora, a ordinare la vasta offensiva militare in cui hanno perso la vita Asmelash e i suoi compagni di lotta, è stato il premier etiope Abiy Ahmed, membro della coalizione di governo a guida Tplf fino alla sua elezione nel 2018. Adesso, invece, Ahmed considera le milizie tigrine come il suo peggior nemico nel controllo di una regione di strategica importanza, perché confinante con il Sudan e l'Eritrea, e perché sbocco commerciale verso il Mar Rosso.
Anche il presidente eritreo Isaias Afwerki ha recentemente inviato truppe nel Tigrai, per dar manforte al suo nuovo alleato etiope, Abiy Ahmed, con il quale ha firmato la pace nel 2018, ma soprattutto per scovare e rimpatriare gli storici oppositori del suo regime tra le decine di migliaia di eritrei fuggiti negli anni. Tanto che sia il governo etiope sia quello eritreo negano l'ingresso dei soldati di Asmara nel Tigrai, mentre tutti gli altri lo confermano. Fatto sta che, nonostante la caduta di Macallè il 28 novembre scorso, e la vittoria annunciata dal premier Abiy, il Tplf ancora conta 250 mila uomini decisi a non a deporre le armi.
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Sono ancora sconosciute le cause della morte di Asmelah, Seyoum e Abay, tutti e tre sessantenni. Secondo alcune testimonianze sarebbero stati assassinati a sangue freddo, secondo altre, provenienti dall'esercito etiope, i veterani tigrini sarebbero stati uccisi in una grotta dopo essersi rifiutati di arrendersi. La notizia delle loro morte è giunta assieme a quella della cattura di altri esponenti di spicco del Tplf, tra cui Sebhat Nega, mostrato alle telecamere in manette, con la barba lunga e stretto tra due soldati, come un brigante d'altri tempi. Il che non ha fatto che aumentare il patriottismo tigrino, con la popolazione locale che ha già reso martiri sia Asmelash ("hanno sparato contro un cieco") sia Sebath ("hanno messo in catene il nostro eroe").
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Giampaolo Cadalanu
E' vero, pesantemente bombardato dai caccia e dai droni da combattimento, e attaccato via terra dall'esercito federale etiope e da quello eritreo, negli ultimi tre mesi il Tplf ha perso uomini e posizioni. Ma non alzerà la bandiera bianca. E' tornato a nascondersi nelle campagne, nelle montagne e le colline del Tigrai da dove si appresta a lanciare una guerra d'usura, con attacchi mirati, kamikaze e imboscate nelle città appena perdute. Intanto, il governo centrale starebbe usando la carestia come arma di guerra contro alcuni villaggi che offrirebbero riparo ai patrioti tigrini. Tra i profughi scappati in Sudan c'è chi racconta che i lealisti danno fuoco ai raccolti, impedendo l'ingresso di altre forme di cibo e di aiuti internazionali nella regione. Secondo una fonte locale, c'è già chi muore di fame, in una crisi umanitaria che non ha precedenti nella storia del Tigray, con 4,5 milioni di persone (75% del totale) che soffrono per carenza di cibo, e con 2,5 milioni di spostati interni.
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