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Da insegnante di scuola a cacciatore di varianti. Alessandro Carabelli: “Con i nuovi ceppi vaccini un po’ meno efficaci”

Origini Bergamasche. Una tesi di laurea nel 2007 nell’istituto di Anthony Fauci. Sette anni da professore di chimica in varie scuole lombarde, a insegnare ai ragazzi che ruolo importante gioca la scienza nella nostra vita. Alessandro Carabelli le chiama “tessere di un puzzle sparpagliate”, che oggi si sono ricomposte attorno al coronavirus. Carabelli, 38 anni, da marzo guida infatti uno dei gruppi di ricerca nel consorzio COG-UK che monitora le mutazioni di Sars-Cov-2 e che il 14 dicembre ha annunciato l’emergere della variante inglese. E’ stato il primo dei quattro ceppi che oggi rischiano di riportarci indietro di varie caselle nella lotta contro la pandemia.

Quanto devono spaventarci?

“Sono abbastanza preoccupanti. Hanno una serie di mutazioni nel gene per la proteina spike importanti per due motivi. Alcune favoriscono l’infezione delle cellule umane. Altre vengono riconosciute meno dagli anticorpi e riducono la risposta immunitaria generata anche dai vaccini”.

Il vaccino di Pfizer più efficace contro la variante inglese, un po' meno contro la sudafricana

di

Elena Dusi


In che consiste il vostro lavoro?

“Il consorzio COG-UK sequenzia circa 20mila campioni di coronavirus ogni settimana. Si parla di arrivare a 30 mila a marzo. Le sequenze vengono messe su una piattaforma web accessibile a tutti. Permette di notare quando una variante del virus comincia a circolare più delle altre. Finora nel mondo sono stati pubblicati 420mila genomi, 200mila dei quali arrivano dalla Gran Bretagna, 80mila dagli Usa e 2.500 dall’Italia, dove finora sono stati riscontrati 125 casi di variante inglese (B.1.1.7) e 3 di quella brasiliana (P.1)”.

I due ceppi si diffonderanno in modo anche nel nostro paese?

“E’ difficile dirlo con un numero così basso di sequenziamenti. Non siamo in grado di descrivere cosa stia accadendo in Italia”.

Come funziona invece il vostro lavoro in Gran Bretagna?

“Anche in Gran Bretagna il consorzio all’inizio ha incontrato resistenze. Si pensava che fosse una spesa inutile, con un virus che mutava piuttosto lentamente. Invece ora ci stiamo accorgendo della sua importanza. E con l’ampliamento della campagna vaccinale, che quasi sicuramente sottoporrà il virus a una pressione evolutiva e potrebbe spingerlo a mutare ancora, il ruolo del monitoraggio sarà ancora più importante. Se i vaccinati dovessero contagiarsi, dobbiamo essere pronti a capire il perché”.

Oggi cosa vedete di nuovo dal vostro osservatorio?

“Che mutazioni identiche e quelle che chiamiamo “constellazioni” di mutazioni (gruppi di mutazioni) spuntano in punti diversi del mondo (omoplasie). Si chiama convergenza evolutiva. La mutazione nella posizione 484 della proteina spike del coronavirus si è sviluppata nel ceppo sudafricano, in entrambi i ceppi brasiliani e ora si sta diffondendo anche nel ceppo inglese. E’ quella che potrebbe essere responsabile della ridotta efficacia dei vaccini. La mutazione nella posizione 501 è stata osservata nel ceppo inglese, in quello sudafricano e in un campione a Brescia, in Italia. Insieme ad altre mutazioni e’ quella responsabile dell’aumento della trasmissibilità del virus, perché aumenta la capacità della proteina spike di legarsi al recettore ACE2 che si trova sulle nostre cellule. Legandosi in maniera più forte, il virus riesce meglio a entrare nelle cellule, infettandole”.

Usciti i dati di Johnson&Johnson: il vaccino efficace al 66%

di

Elena Dusi


La riduzione di efficacia dei vaccini nei confronti delle varianti è impressionante. Novavax parla di un calo del 30%, Johnson&Johnson del 15%.

“Sì sono dati che ci devono interrogare, ma entrambi i vaccini restano sopra il livello del 50% che ci eravamo dati come soglia minima. Pfizer-BioNTech e Moderna hanno condotto dei test usando il siero di alcune persone vaccinate. Moderna ha dimostrato di neutralizzare molto bene anche la variante britannica, meno bene invece quella sudafricana. Il consiglio e’ sicuramente quello di vaccinarsi, ma dovremmo muoverci in anticipo, sviluppare e progettare vaccini della “next generation”, che coprono queste mutazioni. Il processo non dovrebbe essere troppo difficile. Inoltre avremo bisogno di altri vaccini che coprono altre parti del virus, non solo la proteina spike. La proteina spike, da quello che vediamo, sembra essere una parte malleabile del virus che puo’ cambiare e adattarsi facilmente”.

Il vaccino americano di Novavax efficace all'89%. Ma con la variante sudafricana si scende al 60%

di

Elena Dusi


Anche le notizie di reinfezioni, in Sudafrica e Brasile, vanno collegate alle varianti?

“Per ora sono casi infrequenti. Ma sono infrequenti solo perché non abbiamo strumenti per rilevarli? I dati che abbiamo non ci bastano a dirlo. Eppure è una questione importante. Le reinfezioni potrebbero indicare che il virus sta evolvendo in modo da non essere neutralizzato dalle difese immunitarie generate dal primo contagio”.

Ma la variante inglese è davvero più letale e si diffonde di più tra i bambini?

“Non ne siamo sicuri. L’aumento delle vittime in Gran Bretagna potrebbe dipendere dalla saturazione degli ospedali e la diffusione fra i bambini forse è legata ad alcuni particolari focolai”.

Non ci ha ancora raccontato quale traiettoria l’ha portata da Milano, dove è nato, a Bergamo, dove è vissuto per 25 anni, fino alla caccia delle varianti in Gran Bretagna.

“Mi sono laureato in biotecnologie del farmaco al San Raffaele di Milano nel 2007. Per la tesi ho trascorso alcuni mesi a Washington, studiando l’Hiv al National Institutes of Health dove lavora Anthony Fauci. Poi ho scoperto la passione dell’insegnare. Ho lavorato nelle scuole medie e nei licei, passando per le formule dei concimi negli istituti agrari, ai colori e le ceramiche al liceo artistico. Mi piaceva molto, ma mentre facevo esperimenti con i ragazzi ho sentito di nuovo il richiamo del laboratorio. Per cinque anni ho studiato all’università di Nottingham, dove ho ottenuto un dottorato e ho continuato come post doc. A marzo poi c’è stata la chiamata alle armi. Cercavano tecnici per effettuare tamponi. Nel frattempo dalla Lombardia arrivavano notizie tragiche”.

E lei ha risposto all’appello.

“Avrei voluto, avevo convinto anche i miei colleghi. Ma dal nostro capo è arrivata una doccia fredda: voi dovete fare quel che sapete fare meglio. Sono rimasto di sasso, ma anziché abbattermi ho seguito il suo consiglio. Ho fatto domanda all’università di Cambridge per entrare a far parte del consorzio. Ed eccomi qui, a fare quello per cui ho studiato. In fondo il mio capo di Nottingham aveva ragione”.

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