Avevano già cominciato a pulire i frigoriferi, a lucidare posate e bicchieri. Erano andati a fare la spesa in tutta fretta, pesce, frutta di stagione, esultando alla notizia che finalmente si tornava in giallo. Erano arrivate centinaia di prenotazioni. «Evviva si apparecchia già da domenica!». Invece no, oggi non si mangia. Le aperture di bar e ristoranti per le zone che hanno cambiato colore sono slittate di 24 ore. E così la gioia dei ristoratori è durata poche ore: fino a quando nella tarda serata di venerdì è arrivata la notizia che sì, si potrà nuovamente servire ai tavoli a pranzo e servire spritz fino alle 18, ma a cominciare da domani. E la gioia si è trasformata in rabbia. «Siamo imprenditori, non stiamo giocando», sbotta Claudio Pica, leader della Fiepet romana, l’associazione dei pubblici esercizi di Confesercenti. «Quando dal ministero è arrivato l’ok per tornare nuovamente in giallo ero in chat con degli associati», continua Pica. «C’è stato un boato di gioia che neanche quando segna la Roma all’Olimpico… Ma dopo un paio d’ore ho dovuto richiamare tutti per dirgli che comunque domenica si doveva restare ancora in modalità delivery».
di
Agnese Ananasso
Amareggiati anche in Confcommercio: «La riapertura di bar e ristoranti a partire dalla prossima settimana è una buona notizia — dice Sergio Paolantoni, presidente della Fipe — ma ancora una volta si deve registrare la profonda incertezza generata da provvedimenti che arrivano tardivamente e che continuano a mettere in grande difficoltà imprese e cittadini. Le nostre aziende non sono interruttori che si accendono e spengono ma hanno bisogno di programmare l’attività».
Il 2020, col balletto dei lockdown, è stato davvero l’annus horribilis della ristorazione italiana. Si è concluso con 37,7 miliardi di euro di perdite: in pratica, il 40 per cento dell’intero fatturato annuo se ne è andato in fumo. Tanto che a Modena un centinaio di ristoranti si sono trasformati in mense aziendali, pur di non tirare giù la saracinesca per sempre. E un’altra ventina ha fatto lo stesso tra Bologna e Ferrara.
Tra chi vive “spadellando” dietro i fornelli il malcontento aumenta giorno dopo giorno. Anche nei confronti del delivery che gli ha consentito di resistere, anche se al prezzo di commissioni salatissime. Quanto costa un delivery tradizionale? Il 40 per cento del prezzo finale pagato dal consumatore. Insomma, il cittadino spende 10 euro per una pizza trasportata a casa, ma al ristoratore rimangono 6 euro. «La commissione base può essere anche del 20 per cento se assicuri l’esclusiva nelle consegne ad una sola piattaforma e hai fatturati molto alti — spiegano gli imprenditori — ma quasi sempre si parte dal 30-35 per arrivare ad un costo a carico nostro del 40 per cento, se si sommano iscrizioni d’ingresso, tasse sui portali, Iva su commissione e incasso effettivo, spese di packaging».
Nel settore gli animi sfrigolano, nonostante i 421 morti nelle ultime 24 ore. E intascata l’apertura in giallo i ristoratori chiedono ora al Governo di poter servire ai tavoli anche all’ora di cena: «L’orario ridotto fino alle 18 — dice Paolo Bianchi, presidente di Mio Italia, movimento legato a Federturismo Confindustria — serve solo a creare più assembramenti, molto meglio diluire l’orario». Anche per Confcommercio l’obiettivo è tornare ad aprire fino alle 22: «Perché — spiega Paolantoni — è possibile coniugare salute e lavoro applicando con serietà i protocolli di sicurezza per i quali abbiamo fatto investimenti onerosi».
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