MILANO. Il tredicesimo e il quattordicesimo rigore concessi al Milan in questo campionato non si possono prestare alla polemica sui presunti favori arbitrali: c'erano tutti e 2. Vanno ascritti sia all'evidente inclinazione della squadra di Pioli a portare un alto numero di giocatori nell'area avversaria sia alla sciaguratezza di Dijks e Soumaoro, incauti difensori del Bologna. Semmai il 2-1 del Dall'Ara, nona vittoria fuori casa, alimenta un paradosso: solo apparente, però, perché è difficile che i numeri mentano, alla ventesima giornata. E i numeri dicono che lo scudetto del Milan passa da San Siro. È lì che la capolista, fin qui irresistibile in trasferta, deve aggiustare il rendimento. Altrimenti rischia di perdere la grande occasione. Certo, è oggettivamente improprio parlare di casa e trasferta, in questa stagione di stadi vuoti e di monopolio delle urla demandato dagli ultrà ai calciatori. I quali magari poi inciampano, dentro il silenzio irreale e reale al tempo stesso, in disavventure come quella tra Ibrahimovic e Lukaku. Eppure c'è un dato quanto meno bizzarro, nel campionato del Milan. Primo per distacco nella classifica delle partite esterne, a Milano diventa quasi una squadra qualsiasi, sul filo della zona Champions: nella graduatoria specifica si è presentato da quarto alla ventesima giornata, in attesa degli impegni casalinghi di Atalanta e Napoli.
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di
Paolo Condò
Una statistica pesante
Come tutte le statistiche, anche questa prende senso quanto più si allarga il campione in esame: 20 partite valgono senz'altro da parametro utile, anche perché per il calendario 10 il Milan le ha giocate al Meazza e 10 fuori. Il fatto che nel conteggio ufficiale risulti in trasferta anche il derby d'andata, vinto a ottobre con la conseguente scalata al primo posto solitario, non fa che alimentare la bizzarria di questa altalena di rendimento. Adesso le vittorie fuori casa sono 9, dopo Bologna, 1 solo il pareggio (col Genoa), nessuna sconfitta. Al Meazza, invece, la squadra di Pioli ha vinto 5 volte, perso 2 (con Juventus e Atalanta) e pareggiato 3 (con Verona, Roma e Parma). Se poi si estende il campione all'Europa League, incluse le gare di qualificazione, il dato si fa ulteriormente interessante: con le trasferte di Dublino, Vila Conde, Glasgow, Lille e Praga, le partite senza sconfitta diventano 15, le vittorie 12. E se si sconfina nella stagione scorsa, la statistica fa ancora più impressione: altre 7 trasferte da squadra imbattuta in campionato (8 inclusa la semifinale di Coppa Italia con la Juventus).
L'ossessione Atalanta
Ma le trasferte senza sconfitta diventano 10 (11 appunto con la Coppa Italia) se si toglie dal conteggio proprio San Siro, perché l'ultima batosta in trasferta del Milan in campionato risale al derby del 2 febbraio 2020. A quel punto, per individuare l'ultima caduta in una trasferta vera, bisogna andare ancora più indietro, addirittura al fatidico 0-5 del 22 dicembre 2019 a Bergamo. Fu il crollo di qualsiasi certezza, ma anche la scintilla del riscatto dopo il lockdown. Il Milan perse l'8 marzo 2020, guarda caso al Meazza col Genoa, nell'ultimo atto prima del lockdown. Da allora è andato tutto a gonfie vele, con l'eccezione dell'indolore incidente di percorso in Europa League, col Lille (0-3) il 5 novembre. Tutto a gonfie vele fino a gennaio. Dallo scivolone col Lille altri 2 mesi sono passati, prima che la Juventus (3-1) il 6 gennaio rispolverasse la sindrome di San Siro. Pareva una coincidenza. Però 17 giorni dopo, il 23 gennaio, è stata ancora l'Atalanta, in partenza rivale per un posto in Champions, a instillare un nuovo dubbio col 3-0 al Meazza: che le cosiddette mura amiche tanto amiche non siano. Altri 3 giorni più tardi, il 26 gennaio, l'Inter si è incaricata di rendere legittimo l'interrogativo, nel derby di Coppa Italia (2-1) della lite Ibra-Lukaku. Il Milan ha alzato le spalle. A Bologna ha dimostrato di non essere affatto in crisi di risultati, col corredo di un record: mai, nella sua storia in serie A, aveva segnato per 20 partite consecutive in trasferta. Appunto, ci risiamo: in trasferta. E a Milano?
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Niente più fattore campo
La sindrome di San Siro non è quella di Stendhal: è difficile che i giocatori del Milan s'incantino a guardare il loro stadio, per quanto sia monumentale. Né può trattarsi di sindrome di Stoccolma, come se il Meazza fosse il loro carceriere. La tesi portata avanti nei mesi scorsi da chi minimizzava la cavalcata milanista era esattamente opposta: si fondava sull'idea che la squadra dalla media d'età più bassa potesse essere favorita dall'assenza del pubblico più esigente d'Italia, spesso condizionante in passato per i giovani talenti intimiditi dai fischi. Per spiegare la differenza di rendimento del Milan tra casa e trasferta, si affaccia dunque una nuova tesi, legata non agli effetti psicologici del Meazza ma a quelli di tutti gli stadi vuoti. Siccome ormai tutte le partite si giocano di fatto in campo neutro, il cosiddetto fattore campo si azzera ovunque. E in casa delle squadre medio-piccole, dove l'ambiente può davvero rappresentare fuor di retorica il classico dodicesimo uomo, l'assenza di tifosi è un vantaggio per le squadre più forti e più giovani. Come il Milan, appunto.
Appuntamento al derby
Ora, per ridurre a sofismi e congetture queste disquisizioni astratte, la capolista ha un'occasione imperdibile: sfruttare l'eliminazione dalla Coppa Italia, prima che riprenda l'Europa League a metà febbraio, per 2 settimane piene di allenamenti. Pioli stesso l'ha sottolineato. Il graduale recupero degli assenti – è tornato Bennacer e il prossimo sarà Çalhanoglu – riavvicina l'allenatore alla sua squadra titolare, con l'aggiunta del Fregoli d'attacco Mandzukic. Nel frattempo i molti contrattempi non sono stati completamente nocivi: hanno permesso di accelerare l'eclettismo di Leao, di scoprire alternative all'altezza come Tomori, di rodare Tonali, di svezzare Kalulu, di valutare i difetti di immaturità di Diaz, Dalot e Hauge. Ora il Milan in casa deve battere il Crotone, impresa non impossibile. Ma l'appuntamento più importante sarà il derby del 21 febbraio contro la tenacissima Inter di Conte. Per provare a sconfiggere, se davvero esiste, questa bizzarra sindrome di San Siro.
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