Verba volant, scripta manent, ha detto ieri sera Matteo Renzi giustificando la necessità di "un documento scritto" che metta tutti d'accordo sul Conte ter. Il pensiero è corso al contratto siglato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini tre anni fa. E subito è affiorata la faccia di Danilo Toninelli, che durante una delle sudatissime riunioni preparatorie postò sui social una sua pensosa immagine con l'indimenticata didascalia: "Questa fotografia forse può dimostrare anche la massima concentrazione con cui stiamo affrontando questa importante missione". E qualche settimana dopo – anche in virtù di quella ammirevole concentrazione – Toninelli venne promosso ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture.
Carta canta, villan dorme, recita il proverbio. Renzi vuole vedere cammello prima di dare il suo via libera. E l'idea di fissare i paletti dentro "un cronoprogramma" – una parolina magica che ha unito Vito Crimi e Matteo Renzi – in fondo conferma il clima di diffidenza nel quale i duellanti ancora si muovono.
Il 3 aprile 2018 fu Luigi Di Maio, allora l'uomo più potente d'Italia, a lanciare la proposta di un contratto "da sottoscrivere con Lega o con il Pd senza Renzi". Un contratto di governo alla tedesca, si disse. "Un Koalitionsvertrag che in Germania si sperimenta dal 20 ottobre 1961", spiegò il costituzionalista Sabino Cassese. Ma da noi prima venne varato con slancio latino un comitato addetto al contratto, al cui capo c'era Giacinto Della Cananea, docente di diritto di amministrativo.
Il professore vi svolgeva funzioni di notaio: aveva cioè il compito di comparare il programma dei grillini con quello dei leghisti. Salvini e Di Maio si mostrarono allora indaffaratissimi davanti alle telecamere. Uomini nuovi in maniche di camicia che concreti e fattivi stavano finalmente per cambiare l'Italia! Alla fine il contratto si rivelò di quaranta pagine, e dentro c'era veramente di tutto: anche l'abolizione delle pensioni d'oro.
Il maestro indiscusso del contratto resta tuttavia Silvio Berlusconi, che il suo lo siglò senza tante lungaggini burocratiche direttamente da Bruno Vespa, l'8 maggio 2001.
Si era alla vigilia delle elezioni politiche e il Cavaliere s'impegnava in caso di vittoria a realizzare cinque riforme e a non ricandidarsi mai più in caso di fallimento dei suoi propositi. Tra i punti c'era anche l'aumento delle pensioni minime. E chi non è d'accordo con l'aumento delle pensioni minime? Silvio naturalmente stravinse.
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