LUGANO – La frontiera del sushi. Non si trova in Estremo Oriente bensì a cavallo del fiume Tresa, che segna uno dei punti più trafficati tra la provincia di Varese e il Canton Ticino. In territorio elvetico c'è Ponte Tresa, dall'altra parte del fiume Lavena Ponte Tresa. Dalla località italiana, circa 3 mila abitanti, giungono in Svizzera quotidianamente molti dei 70 mila lavoratori frontalieri impiegati nelle azienda ticinesi. Mentre a Lavena Ponte Tresa, soprattutto durante il fine settimana, si riversa una fiumana di svizzeri i quali, dopo aver effettuato acquisti nei negozi e nei supermercati locali, si fermano a mangiare in uno dei 15 ristoranti cinesi, giapponesi e indiani che servono una gran varietà di specialità asiatiche. Il piatto preferito pare sia il sushi.
Fatto sta che, dal 5 novembre, dall'introduzione del nuovo lockdown in Lombardia, nella regione non si può più entrare neppure dalla Svizzera: e così addio sushi. Il quotidiano Corriere del Ticino di Lugano ha, tuttavia, scoperto che i ticinesi in crisi di astinenza – visto che in Svizzera bar e ristoranti sono chiusi dal 22 dicembre – non si sono arresi e si sono inventati con la complicità dei ristoratori orientali di Lavena Ponte Tresa un asporto transfrontaliero della loro pietanza prediletta. La cui consegna avviene di sera, un po' clandestinamente, sul ponte che attraversa il fiume Tresa, a ridosso della linea di confine ben delineata che separa la Svizzera dall'Italia.
Lì si ritrovano il cliente ticinese che ha ordinato online il sushi e il fattorino del ristorante italiano che glielo consegna. Manca il George Smiley di John Le Carrè, ma l'atmosfera, con un po' di fantasia, rimanda al "Ponte delle spie" della Berlino della guerra fredda. D'altronde, non equivale a una guerra il Covid che ci ha messo in ginocchio ormai da quasi un anno?
"Ho perso l'80 per cento del mio fatturato, costituito in buona parte dalle entrate dei clienti ticinesi", dice a Repubblica il titolare di un ristorante cinese della Ponte Tresa italiana, che la sera dei fine settimana effettua le consegne di sushi, sul ponte che segna la frontiera tra Svizzera e Italia. E con le delimitazioni del lockdowm come la mettiamo? "Ho chiesto alla Guardia di Finanza e mi ha fatto capire che potevo farlo. L'importante è non superare la linea di confine tratteggiata sul ponte". Pure le Guardie di Confine elvetiche hanno, sin qui, chiuso un occhio, di fronte al traffico di sushi. "Anche se i doganieri lasciano correre, trovo spiacevole che i miei concittadini preferiscano far la coda sul ponte, piuttosto che sostenere l'economia locale", dice amareggiato, a Repubblica, Massimo Suter, presidente di GastroTicino, l'associazione dei ristoratori del Cantone italofono. "Tenga presente- aggiunge – che nonostante la chiusura di bar e ristoranti, decretata dal governo di Berna, anche in Ticino ci sono ristoranti che forniscono cibo da asporto, compreso il sushi".
E dire che quella che oggi è diventata la frontiera del sushi, durante la Seconda guerra mondiale ha assistito a situazioni ben più drammatiche. "Rivavén biott", arrivavano nudi, ricorda Aris Corbetta, parlando degli ebrei, sfuggiti ai rastrellamenti nazi-fascisti, che riuscirono a mettersi in salvo in Svizzera attraversando la Tresa.
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