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Quando il male di vivere colpisce un poliziotto

Lo stile è sempre quello, in cui l’ironia si affianca alla costruzione del giallo. Ma in L’ombra della perduta felicità (edizioni Tea), il nuovo titolo per la Squadra Speciale Minestrina in Brodo creata da Roberto Centazzo — adesso scrittore a tempo pieno dopo più di 35 anni in Polizia — c’è una vena da un lato più intima e dall’altro più compresa, intorno a un dramma silenzioso quanto inquietante: quello della sindrome da burnout che colpisce tante persone, uomini e donne, che portano una divisa.

«È difficile parlarne, ma si contano 50 vittime, ogni anno. Non viene considerato stress da lavoro correlato, ma lo è», spiega Centazzo, che ha avuto come ultimo incarico quello di vicequestore Polfer a Savona, prima di dedicarsi alla nuova vita tra libri, gatti e orto sulle alture della città. Al centro del libro c’è la vicenda del sovrintendente Giacomo Dotta, colpito da un provvedimento disciplinare perché non vuole rientrare al lavoro dopo un periodo di malattia, trascorso nell’amatissimo agriturismo che conduce con la madre Mariuccia nelle Langhe, alle porte di Alba: ma il male oscuro, quello vero, è di non essere stato creduto nelle sue denunce a raffica — è arrivato persino all’Antimafia — contro i fantomatici consorzi truffa del biologico che coinvolgerebbero troppi produttori che di biologico non hanno mai visto una mela… e soprattutto, Giacomo arriva ad accusare il procuratore di Asti. I tre amici Eugenio, Ferruccio e Luc, poliziotti in pensione che però non riescono a non dare una mano quando serve, si trovano coinvolti ad accertare una verità che non è solo una questione sindacale, come viene posta all’inizio.

«E quindi, decisi a mettere il sogno di un viaggio con il pullmino Volkswagen fino in Germania, dirottano sulle Langhe cercando di trovare il filo di questa storia — spiega Centazzo — e soprattutto prendono a cuore la vicenda di Giacomo: non ci si ammala da soli, se non ti fa giustizia il procuratore, che fai?» Una domanda che apre molti spunti di riflessione e anche la necessità di affrontare, anche se inseriti nella trama del giallo, dei temi profondi e poco indagati. Ma, com’è nello stile di Centazzo, la scrittura resta scorrevole, nuovi personaggi appaiono a completare l’affresco, e il finale non è scontato. Il titolo è una indimenticabile frase di E se domani di Giorgio Calabrese cantata da Mina: la nostalgia colpisce, e forte.

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