MILANO – Si ferma il processo di rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, lasciando 10 milioni di persone in attesa di rinnovo. A conclusione di un anno caratterizzato dalla pandemia e anche dalla dialettica tra parti sociali (a tratti molto accesa) sulla necessità di rimetter mano alla materia, l'Istat fa ordine sullo stato dei Ccnl.
Contratto scaduto per 10 milioni. Ed è già battaglia sul salario
Valentina Conte
"L’incertezza derivante dall’emergenza sanitaria, nel corso del 2020, ha determinato un marcato rallentamento dei processi negoziali, registrando alla fine dell’anno solo otto accordi di rinnovo, meno di un quinto degli oltre cinquanta contratti scaduti a inizio anno", dice l'Istituto di statistica nella sua nota. "La quota di dipendenti in attesa di rinnovo non è mai scesa sotto l’ottanta per cento e la dinamica retributiva, che ha fatto registrare una variazione dello 0,6%, appare in deciso rallentamento rispetto al – modesto – incremento dell’anno precedente. La crescita delle retribuzioni è stata sostanzialmente stabile per il settore privato, mentre è progressivamente diminuita, fino ad annullarsi nel secondo semestre dell’anno, per il pubblico impiego".
STIPENDIO. Calcola se il tuo è giusto
Secondo il resoconto Istat, alla fine di dicembre 2020 i contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica (24 contratti) riguardano il 19,1% dei dipendenti, circa 2,4 milioni, con un monte retributivo pari al 19,8% del totale. Nel corso del quarto trimestre 2020 è stato recepito il solo accordo del legno e prodotti in legno ed è scaduto quello dell'edilizia. E così sono 49 i contratti in attesa di rinnovo e coinvolgono circa 10,0 milioni di dipendenti (l’80,9% del totale), 300 mila lavoratori in più rispetto al dato di fine settembre. Il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, nel corso del 2020 è aumentato, passando da 11,8 mesi a gennaio a 20,1 mesi a dicembre.
Sul fronte delle retribuzioni, l'Istat rintraccia una crescita dello 0,6% nella media del 2020 sul 2019 per quelle orarie. "Anche l’indice mensile delle retribuzioni contrattuali registra un aumento tendenziale dello 0,6% rispetto a dicembre 2019, pur restando invariato rispetto a novembre; in particolare, l’aumento ha raggiunto lo 0,8% per i dipendenti dell’industria, lo 0,7% per quelli dei servizi privati ed è stato nullo per la pubblica amministrazione". Gli aumenti tendenziali più elevati riguardano il settore del credito e assicurazioni (+2,2%), l’edilizia (+1,6%), l’estrazioni minerali ed energia e petroli (entrambi +1,4%); nessun incremento per l’agricoltura, il commercio, le farmacie private, le telecomunicazioni e la pubblica amministrazione.
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a cura di
Osservatorio Conti Pubblici Italiani
Sui dati degli stipendi, per altro, pende il rilievo sollevato dall'Unione nazionale dei consumatori. "L'incremento delle retribuzioni, visto che l'Italia nel 2020 era in deflazione, potrebbe anche essere considerato sufficiente, se non si trattasse di un'illusione ottica" afferma il presidente Massimiliano Dona. "Infatti, l'indice delle retribuzioni contrattuali per definizione non tiene conto dell'applicazione della Cig. Se questo non è solitamente rilevante in periodi normali, ora diventa una crepa irreparabile, a cui va aggiunto che, tanto per cambiare, nei momenti di maggiore crisi i contratti non vengono mai rinnovati e questo avrà ripercussioni nel 2021".
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