Parigi, 28 settembre 1902: Émile Zola e la consorte Alexandrine rientrano in città dalle vacanze. Rimasta chiusa per mesi, la casa, un elegante hotel particulier, è fredda. I coniugi chiedono al domestico di accendere il camino e dopo cena vanno a coricarsi. L'indomani, il giovanotto bussa alla porta per riprendere servizio, ma nessuno risponde. Curioso. Zola è sempre stato mattiniero. Scrive nelle prime ore della giornata. Forzata la serratura, i vicini si ritrovano davanti una scena da raccapriccio: Alexandrine rantola sul letto a baldacchino, mentre il marito agonizza sul pavimento. Provano a rianimarlo, ma tempo mezz'ora il medico ne registra il decesso. Zola aveva 62 anni. Avvelenamento da monossido di carbonio dovuto al tiraggio difettoso del camino, concluderà l'inchiesta. Intanto la moglie è stata portata in ospedale, dove si riprenderà.
Il 5 ottobre Émile Zola viene sepolto nel cimitero di Montmartre. Del discorso funebre s'incarica Anatole France: "Invidiamolo" declama, "ha onorato la patria e il mondo con un'opera immensa e un grande gesto. Invidiamolo, è stato una tappa della coscienza umana". Un drappello di soldati rende gli onori militari. I minatori del Nord – che il romanziere aveva magnificato in Germinal (1885) – intonano L'Internazionale. Ma tra la folla c'è tensione. Qualcuno canticchia: "Zola il pornografico/il famoso letterato/dall'acido carbonico/è finito asfissiato". Sipario.
Anno 1953: al quotidiano parigino Libération arriva una lettera firmata da tale Pierre Hacquin, farmacista. Chiedendo che il suo nome non venga divulgato, il tizio promette rivelazioni shock sull'"omicidio Zola". Un cronista è subito spedito in Normandia per incontrarlo. Hacquin gli racconta di aver raccolto, qualche decennio prima, la confessione di un certo Henri Buronfosse, ex spazzacamino e militante di destra. Nel 1902, durante dei lavori sui tetti, il fumista avrebbe individuato per caso il comignolo di casa Zola otturandolo con dei calcinacci "per affumicare il maiale", ossia per far passare un brutto quarto d'ora a uno scrittore famoso, ma odiatissimo, che da tempo la stampa ostile ritrae in caricatura con fattezze suine.
Benché inverificabili, le presunte dichiarazioni di Buronfosse (morto nel 1928) erano perfettamente plausibili. Se non altro perché nella canna fumaria degli Zola fu davvero rinvenuto un misterioso ammasso di detriti. La vendetta di un sottoproletario estremista, di un hater isolato che non aveva però l'intenzione di uccidere? Fino ad oggi era rimasta un'ipotesi suggestiva. Ma, nel romanzo-inchiesta Assassini! (Elliot edizioni), l'ex giornalista Jean-Paul Delfino ne ricava conclusioni più perentorie, facendo del fumoso fumista Buronfosse un Lee Harvey Oswald o un Pino Pelosi della Belle Époque: l'umile pedina di un vasto complotto reazionario, antirepubblicano, antisemita e via tramando. Sebbene indulga eccessivamente sui dettagli scatologici (Zola che muore affogato nel vomito e nelle proprie feci), il libro è ben documentato e fruga nei panni sporchi di una Francia dorata, ma densa di ombre che si allungano fino al presente.
I bestseller dell'odio
"Mandarli nel Sahara, lavarli col vetriolo, tagliargli le gambe, cavargli gli occhi, castrarli, distruggerli con il mercurio, buttarli nell'olio bollente o nella caldaia, tritarli, incenerirli", su certa stampa francese di fine Ottocento si potevano leggere amenità del genere circa il trattamento da riservare agli ebrei. A riaccendere i fornelli mai spenti dell'odio erano stati piromani tipo Édouard Drumont, polemista brutale, deputato e autore nel 1886 dell'obeso pamphlet La Francia giudaica.
Un bestseller che a suo modo avrebbe fatto scuola. Perché rianimava l'impigrito antisemitismo cattolico (i "giudei" popolo deicida, uccisore di Cristo) con moderni argomenti demagogici che ne rinverdivano l'appeal, specie tra le classi popolari, e non solo a destra. Il pregiudizio imperversava anche à gauche. Dall'utopista Charles Fourier all'eterno cospiratore Auguste Blanqui, dall'anarchico Proudhon al comunardo Jules Vallès, nella Francia ottocentesca non c'è padre nobile della galassia socialista che non si sia concesso qua e là un'intemerata antisemita. Furoreggia in particolare l'immagine dell'ebreo-parassita: non il padrone capitalista che, bene o male, dà pane e lavoro alla collettività, ma il finanziere che specula, e altra Patria non ha se non quella senza frontiere dei grandi flussi di denaro. Emblema delle élite cosmopolite (formula oggi resuscitata dalle neo-paranoie identitarie), versione aggiornata del vecchio usuraio, il "giudeo" in redingote non produce: si arricchisce sull'altrui sudore. È una tenia del Pil, e come tale non può essere assimilato nelle magnifiche sorti nazionali della civiltà industriale. Ergo: va espulso, o annientato in casa.
Ora, Émile Zola era nato a Parigi nel 1840 dal matrimonio tra l'ingegnere veneziano, naturalizzato francese, Francesco Zolla ed Émilie Aubert, figlia di vetrai-imbianchini dell'Essonne. Non era ebreo, ma per i suoi nemici lo divenne de facto ergendosi a difesa di Alfred Dreyfus, capitano di origini israelite ingiustamente accusato di spionaggio pro-prussiano, degradato e poi spedito all'ergastolo in Guyana. Sparato in prima pagina sul giornale socialista L'Aurore il 13 gennaio 1898, il J'accuse di Zola (ma il titolo dell'editoriale non era suo, bensì dell'amico Georges Clemenceau) si è meritato interpretazioni sufficienti a riempire intere biblioteche. Atto di battesimo dell'intellettuale engagé e della contro-informazione? O apripista dello strapotere mediatico, vuoi addirittura trovata pubblicitaria, esibizione muscolare di un romanziere accecato dal successo? Se l'affaire Dreyfus può dirsi grosso modo ormai chiarito, il caso Dreyfus-Zola rimane invece aperto. E il sospetto è che sulla vita e la posterità dello scrittore abbia prodotto l'effetto boomerang di un'amara vittoria.
Nascita di un'affaire
Ma chi era, nell'ultimo scorcio del XIX secolo, Émile Édouard Charles Antoine Zola? Un buonuomo barbuto dalla celebrità controversa. Ai suoi romanzi, campioni d'incassi, i moralisti rimproverano il crudo iperrealismo, la rappresentazione di una società capitalistica come universo primitivo e tragico, percorso da moventi ferini: sesso, violenza, denaro. Ma Zola è chiacchierato anche nella vita privata. Si divide tra la moglie, l'ex tintora Alexandrine Meley, e l'amante ufficiale Jeanne Rozerot, lavandaia che gli ha dato due figli. È per restare appetibile agli occhi della ragazza che Émile è dimagrito di 35 chili dai 110 oltrepassati nel turbine della notorietà, gozzovigliando pantagruelico a nemesi degli stenti patiti in gioventù. Dopo la morte del padre e il collasso dell'economia familiare, Zola ha sgobbato da travet nell'editoria e nel giornalismo consumando un pasto al giorno – pane e olio – in alberghi patibolari. Nel 1894, già famoso, apprende dai giornali la notizia del caso Dreyfus mentre si trova a Roma per preparare un romanzo che ha in mente di ambientare nell'Urbe. Inizialmente si schiera coi colpevolisti, come quasi tutta l'opinione pubblica francese, furente di antigermanesimo e ancora ustionata dalla débâcle del 1870: l'invasione prussiana, il crollo del Secondo Impero.
Ma, seppur con lentezza e una certa riluttanza, Émile Zola (che in L'Argent, romanzo formidabile e dimenticato del 1891, aveva ceduto pure lui a qualche cliché antisemita) si ricrederà. È un progressista agnostico, di formazione cattolica e robusti slanci morali, però detesta la politica e non vuole bruciarsi la carriera sul più bello. A tramutarlo in frontman degli innocentisti sarà la lettura di carte giudiziarie e documenti top secret che gli vengono passati sottobanco dai dreyfusardi, una congerie di radicali, socialisti, repubblicani anti-establishment. Il dossier lo convince che non solo il capitano è innocente, ma vittima di una macchinazione ordita dalla casta militare per coprire i veri traditori.
Puntando il dito contro ministri e generali, Zola si getta nel J'accuse in un misto di idealismo e premeditazione. Sa che farà il botto. Alla stampa, al capitalismo dell'audience, deve tutto. Ne conosce il sistema nervoso come un neurologo. Difendendo Dreyfus è condannato a un anno di galera per diffamazione. Sfuggirà al carcere rifugiandosi in Inghilterra e perdendo masse di lettori. Ma intanto ha trasformato il caso in un'affaire di Stato che, se non sull'orlo della guerra civile, ha catapultato la Francia in un bailamme di faide, attentati, tumulti. Zola il "porco", l'italiano, il levantino, il cripto-semita: "Sventratelo!" ruggisce il quotidiano cattolico La Croix. Ma dalla Russia agli States si levano a sostegno le voci di Tolstoj, Cechov, Mark Twain. La République messa a soqquadro per via d'un soldatino ebreo? È troppo, stimano i poteri. E dopo una spettacolare sequela di rivolgimenti (un suicidio eccellente, confessioni, ritrattazioni), decidono che per disinnescare la crisi l'unica soluzione è un colpo di spugna.
Fino al Pantheon
Senza essere scagionato, Dreyfus viene graziato nel 1899. Per ottenere una piena riabilitazione dovrà aspettare altri sette anni. Con Zola si incontreranno una volta sola, a casa dello scrittore. E la scena è forse il momento clou di tutta questa storia. Perché ricevendolo a cena, il romanziere scopre in Dreyfus un tipo anodino, dai modi ingessati e la voce monocorde. Diminuito dai traumi della detenzione e della baraonda che ne è seguita, il capitano li rievoca freddo, senza rancori, con timida riconoscenza verso il suo salvatore. L'affaire ha giocoforza proiettato Zola nel domani, nel Novecento dell'intellighenzia impegnata, dell'umanitarismo militante/benpensante; mentre Dreyfus è rimasto incastonato nel mondo di ieri. "Fanatico dell'uniforme e dell'ordine" scrive Jean-Paul Delfino, "votava all'esercito un'ammirazione senza limiti. Era stato la principale causa della sua rovina? Non poteva ammetterlo. In bocca non aveva che le parole patria, dovere, virtù".
Nel 1908 le spoglie di Zola vengono solennemente trasferite nel Panthéon parigino. Durante la cerimonia un fanatico ferisce Alfred Dreyfus con due pistolettate. Il tribunale lo assolverà giudicando il gesto un "atto patriottico". Zola – disse in mortem Anatole France – fu autore di "un'opera immensa e di un grande gesto". Ma, 120 anni dopo, il grande gesto del J'accuse ha finito per oscurare l'opera immensa, un diluvio di romanzi, racconti, pièce teatrali, cronache, saggi. Oggi chi legge ancora Émile Zola? Amara vittoria.
Sul Venerdì del 29 gennaio 2021
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