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I doppi Giochi di Milano-Cortina 2026

A che giochi stanno giocando? Ai piani più alti del Dritto, come i milanesi chiamano la Torre Allianz che ospita la Fondazione Milano-Cortina, dicono e ripetono che quelle del 2026 saranno le prime Olimpiadi a costo zero per i contribuenti. Perfettamente in sintonia, giurano, con l'Olympic Agenda 2020 e la New Norm, la nuova filosofia del Comitato Olimpico Internazionale che richiama alla sobrietà, al contenimento dei costi e alla sostenibilità. Ancor più importante oggi che la pandemia ha eroso economie e messo in ginocchio bilanci statali.

Non è lo stesso mondo del 24 giugno 2019, il giorno in cui a Losanna ci assegnarono le Olimpiadi e le Paralimpiadi invernali, le terze della nostra storia. Abbiamo sbaragliato la concorrenza svedese (in verità assai debole) e ne siamo stati orgogliosi. Poco dopo è arrivata la piaga del coronavirus e adesso quei diciotto mesi pesano come un'era geologica. È tutto diverso, sono cambiate le priorità e la coscienza collettiva dell'opinione pubblica. Eppure i Giochi che si stanno preparando al Dritto sembrano più in linea con l'opulenza edonistica degli anni Ottanta. Quel che vedremo nel 2026 si deciderà nei prossimi due mesi, sempre che l'Italia risolva la diatriba Coni-Sport e Salute, che rischia di compromettere tutto, Olimpiadi incluse.

La Fondazione deve farsi approvare dal Cio il venue masterplan, il piano definitivo che indica dove si disputeranno le gare, in quali impianti e con quali risorse. In superficie non affiora niente, calma piatta. Un centimetro sotto i comunicati stampa ufficiali, invece, si stanno consumando scontri durissimi con il Cio e con le federazioni internazionali. Nei corridoi della Torre Allianz rimbombano, prepotenti, le voci di Lombardia e Veneto, regioni a trazione leghista, facce diverse della stessa medaglia verde. Alleate, ma solo in apparenza. Qualsiasi proposta alternativa che esca dai loro confini territoriali finisce nello stesso luogo: il cestino. Occasioni di risparmio vengono stracciate. I budget sono ritoccati al rialzo. Qualcuno le ha ribattezzate "le Olimpiadi sovraniste". Forse esagerando. Ma i chiari di luna non sono buoni.

A Losanna l'Italia portò un'idea che teneva insieme il rilancio dell'arco alpino, l'ambizione di non lasciare in eredità ennesime cattedrali nel ghiaccio e un'ipotesi di spesa accettabile e capace di generare almeno 4,5 miliardi di indotto. Nel dossier di candidatura (bidbook) sono elencate 14 sedi di gara, spartite con il bilancino tra Veneto e Lombardia e con un'appendice in Trentino: bob, slittino e curling a Cortina, hockey a Milano, il pattinaggio un po' a Milano un po' a Baselga di Piné, il salto con gli sci a Predazzo (Val di Fiemme), lo sci alpino a Bormio e a Cortina, il fondo a Tesero (Trento), il biathlon in Val Pusteria, lo snowboard e il freestyle a Livigno. Un solo palazzetto da costruire ex novo (il Palaitalia Santa Giulia a Milano, opera da 69 milioni ma sborsati da un consorzio privato con la formula del project financing) e tre villaggi olimpici da tirare su a Milano.

Le spese per l'organizzazione, stando al bidbook, ammontano a 1.362.000.000 euro. Il Cio contribuisce con mezzo miliardo, il resto dovrebbe arrivare da sponsorizzazioni, merchandising, vendita dei biglietti, lotterie. Ecco come è nato il mantra delle "Olimpiadi a costo zero", del "non un euro pubblico sarà toccato". È bene non perdere di vista quella cifra, perché è il parametro di riferimento per capire se stiamo sforando oppure no. Spoiler: stiamo sforando. Appena siamo scesi dalla grande visione per atterrare sul più prosaico progetto esecutivo, i conti non sono tornati più. Andrea Monti, ex direttore della Gazzetta dello Sport e responsabile della comunicazione della Fondazione, ammette che la stima iniziale "era un po' ottimistica" e che l'importo reale è di 1,5 miliardi. Circa duecento milioni in più destinati alle voci trasporti e comunicazione. "Ma ci romperemo la schiena pur di non chiedere denaro allo Stato e alle Regioni, come hanno fatto in passato".

Il proposito è nobile ma retorico. A finanziare il rifacimento di palazzetti e piste, infatti, sono le due Regioni coinvolte e le province di Trento e Bolzano. Con soldi pubblici. L'esborso a carico degli enti locali calcolato nel bidbook (assai per difetto, come vedremo) ammonta a 231 milioni. E mica è finita qui. A riprova che il partito di Salvini intende usare i Giochi come un volano politico, un emendamento della Lega ha inserito nell'ultima Manovra un fondo statale di 145 milioni "per le opere connesse agli impianti sportivi delle Olimpiadi invernali". Formula sufficientemente vaga per farvi rientrare qualsiasi cosa. "Li useremo per gli impianti", conferma Maurizio Gasparin, segretario generale della programmazione per il Veneto. Il punto è che il comitato organizzatore, volutamente, non include queste voci nel proprio bilancio. Lo tiene il più possibile leggero, appostandovi solo l'allestimento delle sedi, le coperture non permanenti, gli alloggi, l'antidoping, i trasporti, l'amministrazione, le cerimonie di apertura e chiusura, la promozione.

A cinque anni esatti dall'accensione del braciere olimpico, dunque, sappiamo che i Giochi di Milano-Cortina costeranno almeno 2 miliardi (compresi i 50 milioni per la retribuzione della Fondazione). E saranno accompagnati dalla grande greppia dei lavori per strade e trasporti: il governo ha già stanziato un miliardo (473 milioni piovono sulla Lombardia, 325 milioni sul Veneto), il Pirellone ci mette altri 574 milioni, la giunta di Zaia 213. Totale: 3,8 miliardi. Per ora.

Al civico 9 di Route de Vidy a Losanna, sede del Cio, sono attoniti. Nelle mosse della Fondazione non trovano lo spirito della New Norm. Hanno davanti il piano di Parigi 2024 che i francesi, dopo l'esplosione della crisi pandemica, hanno ridotto di 400 milioni, tagliando lo stadio acquatico, l'impianto del rugby e alcuni campi per il calcio. Anche i giapponesi hanno risparmiato 280 milioni di dollari per Tokyo 2020. Per Milano-Cortina, al contrario, il mondo pare cristallizzato al 2019 e gli organizzatori continuano a inseguire la grandeur olimpica. "Il bidbook era chiaro e la candidatura era disegnata su due poli, ora è difficile tornare indietro", ribatte Antonio Rossi, ex olimpionico di canoa e sottosegretario ai Grandi eventi sportivi della Lombardia. "Più che di grandeur parlerei di sostenibilità".

Prendiamo allora la pista da bob "Eugenio Monti" sotto le Tofane, inaugurata nel 1924 e abbandonata nel 2008. "È la nostra tradizione", dice il sindaco di Cortina Gianpietro Ghedina, "i miei cittadini la rivogliono". Il bidbook stimava in 38 milioni l'esborso per rimetterla in funzione e farne lo Sliding center. In realtà ne servono il doppio. Il capitolato è di 73 milioni: 65 per il ripristino e i macchinari di congelamento, 8 per assicurare la gestione post olimpica. È una struttura che nasce col debito incluso. Gli stessi tecnici regionali, infatti, riconoscono che perderà 400 mila euro all'anno anche quando diventerà un centro federale invernale e un parco avventura estivo. Ghedina semina ottimismo: "Faremo provare alla gente il brivido della discesa sul tracciato asciutto, installeremo delle cremagliere".

Un report confidenziale della Commissione di valutazione del Cio, redatto prima del lockdown, sollevava "gravi questioni di sostenibilità e di credibilità per il movimento olimpico". Tre i motivi: i tracciati per bob sparsi nel mondo sono tutti in perdita, tant'è che quelli di Nagano e Calgary li hanno chiusi; ce ne sono due utilizzabili a Innsbruck e a St. Moritz; i flussi turistici a Cortina tra il 2005 e il 2015 provano l'ininfluenza della presenza di un impianto di bob. "La Fondazione non mostra reale interesse a prendere in considerazione alternative" chiosano gli esperti della Commissione, "pur sapendo che la pista di Cortina produrrà deficit". Considerazioni che lo staff del governatore Zaia ritiene risibili. "Portare le gare all'estero è una follia, siamo noi ad aver vinto, non la Svizzera. Realizzeremo una struttura che rilancerà il turismo dell'area". Anche il sindaco rigetta le contestazioni: "Il progetto era nel bidbook, se il Cio aveva qualcosa da obiettare doveva farlo prima di darci i Giochi. Oltretutto useremo risorse regionali, non i soldi del Cio". A Losanna ribattono che il dossier della candidatura è per sua natura modificabile e che l'assegnazione non è da considerarsi come l'implicita approvazione dell'intero contenuto.

Il Cio critica pure la scelta di raddoppiare le sedi dello sci alpino, portando quelle maschili a Bormio (Lombardia) e quelle femminili a Cortina (Veneto) in base a una sorta di manuale Cencelli a cinque cerchi. Esempio plastico di come stanno spartendo la torta. "Comporterà l'aggravio del budget", si legge nel report riservato. Non se ne vedono le ragioni. O meglio, non le vede chi non è nelle segrete stanze dei bottoni e non ha assistito alla minaccia della delegazione lombarda di ritirare l'appoggio ai Giochi nel caso in cui decidessero di privilegiare Cortina. È politica, lo sport viene dopo.

Stessa storia per l'ovale del pattinaggio di velocità che a Torino 2006 regalò all'Italia due ori e un bronzo grazie a Enrico Fabris. L'idea originaria è ammodernare il centro di Baselga di Piné, con un investimento ipotizzato di 26 milioni. La pista però è all'aperto. Negli ultimi vent'anni la specialità olimpica si è svolta sempre indoor, per evitare le variabili di meteo e temperatura. Solo che per coprire l'ovale di Baselga ci vogliono 70 milioni. "E comunque dopo i Giochi l'impianto perderà tra i 570 mila e gli 830 mila euro all'anno", scrivono gli advisor del Cio. Un pozzo senza fondo, in altre parole.

Dopo settimane di stallo, alla vigilia di Natale la Fondazione si è fatta viva con la Federazione mondiale di pattinaggio (ISU) proponendo un'alternativa: convertire la pista di atletica dell'Arena Civica di Milano in un ovale ghiacciato. Poiché è impensabile di incapsularla in un capannone in pieno centro storico, il problema rimane. Ci sarebbe però l'Oval Lingotto di Torino. L'ISU chiede di andare lì, in una struttura al chiuso e collaudata. Apriti cielo. Il niet politico è stato immediato. Due anni fa il presidente forzista del Piemonte, Alberto Cirio, con il consenso della sindaca grillina Chiara Appendino, aveva fatto sapere al governo che gli impianti di Torino 2006 erano a disposizione. Da Milano hanno risposto, e continuano a rispondere, picche. Trasferire anche un solo evento a Torino significherebbe ridurre il tesoretto miliardario delle infrastrutture per il quadrante lombardo-veneto. Che poi è il vero bottino della partita.

Chi potrebbe sbloccare la discussione sul masterplan è Giovanni Malagò, ma l'essere contemporaneamente presidente Coni, membro Cio e rappresentante della Fondazione non aiuta. Ha giurato sulla carta olimpica di sposare le linee guida e le decisioni del Cio. Come si pone di fronte all'opposizione di Losanna alla pista da bob? A chi lo accusa di conflitto di interessi Malagò risponde che la Fondazione è un ente privato che non gestisce soldi pubblici e di non aver assunto deleghe operative. Quella su Malagò uno e trino non è l'unica polemica che ha investito la Fondazione. Uno dei manager più importanti, Francesco Romussi, è sotto processo a Roma per un appalto da 6 milioni assegnato senza bando per la manutenzione dello Stadio Olimpico. Il Ceo, Vincenzo Novari, ex ad di 3 Italia, percepisce un compenso di 450 mila euro più centomila di bonus annuali e il Cda, su proposta di Malagò, è stato a un passo dal concedergli un ulteriore rimborso mensile di tremila euro per l'affitto di un appartamento in Piazza di Spagna. Un benefit ritenuto inaccettabile, soprattutto alla luce del fatto che Novari, il manager e il resto del personale (finora 70 dipendenti) dal 2023 al 2027 godranno di esenzioni fiscali. "Sono tutte polemiche pretestuose", ribattono dalla Fondazione. "Il controllo dei costi è continuo, faremo Olimpiadi sostenibili. La sfida è aprire la strada al nuovo Rinascimento Italiano".

Sul Venerdì del 29 gennaio 2021

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