I posti letto sono stati tagliati, le emergenze a cui far fronte no. Anzi, la tragedia di San Girolamo e quel bambino trovato asfissiato con un laccio da badge al collo hanno messo a nudo, al di là del singolo caso in cui non si esclude un tragico incidente, le fragilità dei più piccoli in questa pandemia.
"Il disagio dei bambini può essere silenzioso: per spiegare i pericoli della rete famiglie e scuole si devono alleare"
Eppure, a quasi 12 mesi dal primo lockdown, gli spazi della Neuropsichiatria infantile al Policlinico di Bari continuano a essere striminziti al punto da rendere complicate anche le visite ambulatoriali. Per non dire dei ricoveri riservati soltanto nei casi più urgenti. E lì l'urgenza ha l'immagine di bambini o adolescenti con un disturbo depressivo grave e rischio suicidario. Oppure di bambini che hanno già messo in atto comportamenti autolesionistici.
"Purtroppo è così", conferma la professoressa Lucia Margari, che è alla guida di un reparto alle prese con domande di assistenza che si moltiplicano. "È così e ricordo che ci hanno fatto trasferire di notte, era il 14 marzo".
Trasferire di notte?
"Sì, avevamo 13 posti letto nel padiglione Asclepios e per far fronte alla prima ondata dell'epidemia si decise di trasformare tutto il padiglione in un polo Covid. Erano momenti di grande incertezza e paura, ma ora…"
Ora sono passati 10 mesi.
"E purtroppo siamo ancora stretti in uno spazio piccolissimo nell'ex padiglione pediatrico, assieme ai reparti di oculistica e dermatologia, dopo essere stati per tre mesi ospiti dell'ospedale Giovanni XXIII".
Scusi, ma con tutto quello che accade fuori non ci sono spazi più adeguati?
"A quanto pare no, anche se in base al piano regionale i posti letto a nostra disposizione sarebbero dovuti diventare 20, proprio perché le malattie neuropsichiatriche sono aumentate in realtà ed è aumentata anche la percezione dei problemi di salute di questa natura".
Eppure vi hanno lasciati con un terzo dei posti che avevate prima.
"Il punto è che così riusciamo a far fronte soltanto ai ricoveri più urgenti, che comunque cerchiamo di limitare a una settimana di degenza al massimo programmando controlli ambulatoriali più frequenti. Ma parliamo di risposte alle urgenze, trascurando i casi che apparentemente non lo sono. Apparentemente".
Chi bussa alla sua porta? Quali sono i disturbi più frequenti?
"In questa seconda ondata i casi più importanti interessano gli adolescenti, i più piccoli vengono messi da parte perché non sembrano urgenti. Ma è chiaro che la pandemia può slatentizzare in maniera più veloce problemi già presenti. Nel nostro lavoro incontriamo tutti giorni bambini e famiglie fragili, costrette ad affrontare problematiche di salute e di vita molto complesse. Purtroppo la nostra società non è sempre attenta e ben organizzata a sostenere la disabilità, la diversità, la malattia neuropsichiatrica, e questo vulnus è emerso durante la pandemia con una forza dirompente".
Veniamo ai disturbi.
"Vediamo bambini con disturbi dello spettro autistico, quelli con malattie neurologiche, penso a sindromi epilettiche, sclerosi multipla pediatrica, eccetera, o a disturbi con disabilità fisiche e psichiche con malattie rare. Hanno dovuto affrontare, spesso in solitudine, una prova troppo dura con conseguenze negative importanti e una regressione rispetto ai progressi faticosamente conquistati. In molti bambini e ragazzi già fragili sono emerse problematiche". comportamentali.
Per esempio?
"Stati di agitazione e aggressività, per esempio. Ma anche problematiche ansioso-depressive clinicamente rilevanti, che però non sempre si traducono in una richiesta di aiuto, anche per paura del contagio. O che non sempre incontrano la possibilità di una adeguata risposta assistenziale, visti gli spazi a disposizione".
Ecco, a proposito di disturbi, ci sono campanelli di allarme ai quali un adulto dovrebbe prestare attenzione?
"Beh, quello della prevenzione è un tema a cui tengo molto. Perché l'intervento precoce in situazioni di rischio evolutivo può fare davvero la differenza nelle traiettorie di sviluppo di un bambino. Non significa medicalizzare i bambini, ma dare loro una possibilità di superare più facilmente momenti di crisi o di intervenire tempestivamente in situazioni che potrebbero evolvere e peggiorare nel tempo. L'attenzione va posta a tutti i cambiamenti significativi che possano andare nella direzione di una chiusura, di una alterazione dei ritmi fisiologici, di alterazioni comportamentali o dell'umore. Gli adulti dovrebbero stare attenti ai cambiamenti, notare se il bambino interagisce poco o manifesta un'eccessiva irritabilità, soprattutto per i bambini in età prescolare".
E negli altri?
"Starei attenta alla somatizzazione delle emozioni, a un eccessivo attaccamento al genitore oppure a una marcata paura dell'abbandono. Sono tutti segni che possono evolvere in sintomi depressivi. Ricordo che i disturbi depressivi possono manifestarsi da un anno in poi, anche se sono difficilissimi da diagnosticare in quella fase. E comunque non c'è età: molto dipende da una predisposizione genetica e poi dai fattori ambientali. Per questo è importante la prevenzione".
E spesso ci si dimentica di chiedere a un bambino una cosa forse banale: 'Come stai?'
"Sarebbe molto utile, a prescindere dalla pandemia".
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