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Genitori gay, l’appello di Valentina: “Non vedo le mie figlie da anni, subito la legge”

ROMA – "I figli so' figli…e sono tutti uguali" diceva Filumena Marturano a Domenico Soriano nella ben nota commedia di Eduardo De Filippo. E questa frase dev'essere tornata alla mente dei giudici costituzionali che, per un intero pomeriggio, hanno affrontato ancora una volta la spinosa e irrisolta questione dei figli delle coppie gay. Due padri da una parte; due madri dall'altra. In mezzo un figlio nel primo caso; e ben due gemelle nel secondo. Il primo non può ottenere i due cognomi; le mamme delle seconde si sono separate, e una ha tenuto solo per sé le gemelline. Drammi umani che, come tante altre volte, approdano sul tavolo della Consulta. Due giudici – Francesco Viganò per i padri, e Silvana Sciarra per le mamme – che assieme agli altri tredici devono decidere sui ricorsi della Cassazione e del tribunale di Padova. Ma che finiscono per mettere in mora il Parlamento per una legge che non c'è. E stavolta dicono basta.

Proprio così. Si rivolgono al "legislatore", e gli inviano un "forte monito". È la prima volta che succede in questa delicatissima materia, e questo sarà un intervento destinato a pesare. Perché la Corte, che dichiara inammissibili entrambi i ricorsi, invita il legislatore, come spiega il comunicato della Consulta subito dopo la fine della camera di consiglio, "a individuare urgentemente le forme più idonee di tutela dei minori, anche alla luce delle fonti internazionali ed europee".

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La Corte, "doverosamente", rispetta "la discrezionalità legislativa", ma vede chiara "la necessità" di un intervento delle Camere. Stavolta, come pure è già avvenuto per il caso Cappato e per il carcere per i giornalisti, la Corte non dà quei 12 mesi di tempo che valuta come sufficienti a fare una legge. Ma il "monito", peraltro su due decisioni, suona come una decisa messa in mora di una politica che avrebbe dovuto affrontare da tempo una drammatica questione – il pieno riconoscimento legale di minori nati, ed espressamente voluti, da coppie dello stesso sesso – sulla quale si consuma purtroppo la fragilità di chi nasce ed è destinatario di un fardello pesante. Giusto per la cronaca va detto che, nel caso Cappato, scaduti invano i dodici mesi senza che il Parlamento avesse raggiunto un accordo sull'aiuto al suicidio, alla fine la Corte ha deciso da sola. Quanto ai giornalisti il termine scade il prossimo giugno, ma non si muove foglia sul carcere.

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"I figli so' figli"… Proprio come nei due casi giunti sul tavolo dei giudici costituzionali. Le due madri, prima legate da un forte vincolo affettivo, al punto da volere una propria e comune maternità. Ne nascono due di gemelline. Poi la coppia va in crisi, e una delle due donne prende con sé le figlie negandole all'altra, che segue le vie legali. Tocca ai giudici di Padova rendersi conto che le leggi esistenti non bastano per risolvere la questione, non c'è che rivolgersi alla Consulta. Non va diversamente per i due padri, con un figlio nato in Canada grazie a una madre surrogata che ha chiesto, ma è stata respinta dai giudici, di poter rendere la sua testimonianza. Stavolta i padri vanno d'accordo, vogliono dare i loro nomi al bambino, lo hanno già fatto fuori dall'Italia, ma da noi invece questo è impossibile. Il caso arriva alla Cassazione, e da qui alla Consulta. E siamo a oggi. A una Corte costituzionale che – ormai da tempo – non si ferma più di fronte ai "buchi" della nostra legislazione, ma va avanti. E al Parlamento dice – appunto – "i figli so' figli", quindi risolvete, per loro, il problema giuridico. Date loro i diritti cui hanno diritto.

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E loro, i protagonisti delle due storie, come reagiscono? Il commento di Alexander Schuster, l'avvocato dei due papà e di Valentina, la mamma che dopo la separazione dalla compagna non riesce più a vedere le sue bambine. "Difficile giudicare dai comunicati stampa quale sarà il pensiero della Corte. Occorrerà attendere le motivazioni. I due moniti segnano però un passo avanti importante. Certo segnalano che il diritto italiano è caratterizzato da voragini enormi, che il sistema non regge".

Ha voglia di parlare Schuster. E aggiunge: "Il diritto italiano oggi non è capace di tutelare queste famiglie, questi bambini e queste bambine. Di questi vuoti porta la primaria responsabilità il Parlamento, e la Consulta ha senz'altro ragione a puntare il dito. La Corte costituzionale è però tornata alla stagione dei moniti. Speriamo che il legislatore non faccia come in passato, quando era sordo a questi ammonimenti". Ma solo davanti al testo della sentenza, ribadisce Schuster "si capirà quanto impellente è il monito, quanto fortemente la Corte costituzionale denuncia l'urgenza di tutelare questi affetti e questi bambini".

"È stato fatto un passo avanti importante – sottolinea ancora Schuster – per la dignità di queste famiglie e dei loro bambini. C'è solo da sperare che sia sufficiente per risolvere già oggi le situazioni più drammatiche che la vita, senza volerlo, ci consegna". Come quella dei due padri che hanno visto "decadere" dal certificato di nascita del figlio il cognome del papà non biologico: "Questa sentenza – conclude Schuster – è un passo avanti e occorre riconsiderare e riponderare la tutela che deve essere accordata ai nati da gestazione per altri".

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Invece è delusa e sofferente Valentina, la madre che ha contestato alla sua ex compagna la maternità esclusiva delle gemelline. Dice di sentire una "delusione amara". Perché i tempi della politica non sono i tempi delle sue bambine, che oggi, dice, "sento ancora più lontane". "Un passo in avanti? Forse, ma non per me, forse per altre mamme che nella mia stessa situazione potranno usufruire di una legge che, chissà quando, potrà tutelarle. E le mie figlie saranno grandi". "Il tempo passa – dice con tristezza Valentina – e loro crescono. Lasciar passare il tempo è il mezzo che l'altra ha usato più di tutto, oltre alla legge che è dalla sua parte, per allontanarmi dalle mie figlie".

È dal 2018 che Valentina è stata esclusa dalla vita delle piccole, nate nel 2013 con una fecondazione eterologa in Danimarca. Poi il ritorno in Italia, a Padova, ma sul certificato l'ufficiale dell'anagrafe si rifiuta di iscrivere entrambe le mamme. Le piccole, dunque, risultano figlie soltanto della mamma biologica. Poi il rapporto che va in crisi. Per un po' Valentina e la compagna fanno le mamme separate, il rapporto di "mamma Vale" con le bambine è fortissimo. Ma un pomeriggio del 2018, con un messaggio Whatsapp, la mamma "bio" annuncia a Valentina che lei, le bimbe, non le vedrà più. Valentina combatte in ogni modo, ma perde, lei per lo Stato non esiste. "Mi mancano. Le ho viste soltanto cinque volte, l'estate scorsa, cinque incontri di un'ora tra agosto e settembre. E poi basta. Ma io le ho volute, cresciute e amate esattamente come l'altra mamma. La legge non è con me, ma quello che è legale non è sempre giusto, soprattutto quando la legge tiene in ostaggio le persone, i sentimenti gli affetti. E i bambini".

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