Lo sterminio degli Uiguri, il cancro al seno, una frase di Goebbels, i farmaci per curare il Covid, il conflitto Azerbaijan-Armenia: tutti questi temi hanno poco in comune, tranne il fatto che su di essi si è esercitata una "prima volta" per i social media. Sono i temi su cui si è espressa per la prima volta quella che è stata definita la "Cassazione" di Facebook: quell'Oversight Board – organismo di supervisione indipendente – che il social di Mark Zuckerberg ha istituito nel 2019 per decidere sui ricorsi degli utenti ma anche su tematiche più generali, dalla trasparenza alle procedure decisionali interne. Un gruppo di personalità che agiscono al di fuori dell'azienda, anche se è Facebook a finanziare il loro lavoro, con 130 milioni di dollari in sei anni.
Da quando il gruppo di 20 "saggi" ha cominciato ad accogliere i ricorsi degli utenti, sono arrivate 150mila segnalazioni. Il Board ne ha potuto analizzare solo alcune, cercando di coglierne il carattere simbolico che possa dare indicazioni più generali. Ma la vera prova "politica" dell'efficacia e del reale peso che questo gruppo può avere nelle decisioni di Zuckerberg arriverà solo nei prossimi giorni, o forse settimane, quando sarà emessa la sentenza sul caso più clamoroso: l'esclusione di Donald Trump dalla piattaforma. Se infatti Twitter ha deciso unilateralmente di cancellare l'account dell'ex presidente dopo l'assalto violento dei suoi sostenitori al Congresso Usa il 6 gennaio scorso, attirandosi anche molte critiche, e ora anche Youtube ha rinnovato la sospensione del canale di Trump, a tempo indeterminato, Facebook non ha dato per ora termini temporali per la sospensione dell'ex presidente. È stato lo stesso Board a chiedere di potersene occupare. Da domani comincerà ad accogliere i commenti degli utenti per incorporarli nel dossier, ma non ha reso noto se ci sarà anche il contributo dello stesso Trump né quanto durerà l'istruttoria.
Trump vuole tornare su Facebook: una supergiuria potrebbe dargli il via libera
di
Ben Smith
Le prime cinque decisioni dell'Oversight Board per ora danno torto a Facebook e ragione agli utenti in quattro casi su cinque. Si chiede il reintegro di quattro contenuti cancellati: il post di un utente di Myanmar che ha usato la foto di un bambino morto per contestare il diverso atteggiamento della comunità islamica di fronte alle stragi terroristiche in Francia e alla persecuzione degli Uiguri musulmani in Cina; una presunta citazione del ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels che Facebook aveva rimosso perché violava la policy su "individui e organizzazioni pericolosi" ma che l'utente americano aveva inserito in un contesto non violento; il post (segnalato al board da Facebook e non dagli utenti) di un gruppo che criticava la risposta del governo francese alla pandemia da Covid sostenendo che certe terapie possono curare il virus, ma che non incitava a usare medicine in modo improprio; delle foto pubblicate su Instagram da un utente brasiliano, che mostravano dei capezzoli femminili per sensibilizzare sulla prevenzione del tumore al seno (post già reintegrato da Facebook autonomamente). È stato invece respinto il ricorso contro la cancellazione di un post con foto di chiese di Baku, Azerbaijan, che nel testo conteneva offese al popolo azero e sostegno per l'Armenia.
Facebook ha già annunciato che accetterà la decisioni del Board, e ora ha 7 giorni di tempo per reintegrare i post cancellati. A breve dovrebbero arrivare altre determinazioni, nonché la lista dei nuovi contenuti su cui la commissione si esprimerà. Ma il Board oggi ha espresso anche 9 pareri "non vincolanti", chiedendo all'azienda di essere più chiara circa la definizione delle sue regole su quel che è permesso o no sulla piattaforma, ad esempio nel campo della salute o delle organizzazioni "pericolose", e dire più esplicitamente agli utenti cosa è stato violato. "Abbiamo visto che Facebook ha dei problemi di policy – nota una dei membri del Board, l'accademica taiwanese Katherine Chen – Vogliamo che le loro policy siano chiare soprattutto quando toccano questioni come i diritti umani o la libertà d'espressione: devono essere precise, accessibili, chiaramente definite". Facebook non è obbligata a intervenire su questi punti ma entro 30 giorni deve dare una risposta pubblica. Intanto, in un post, Facebook ha detto che pubblicherà aggiornamenti su come intende affrontare la disinformazione sul Covid ma ha ribadito che non rinuncerà a cancellare post che ritiene pericolosi riguardo la pandemia.
L'intervento di questa "alta corte" – composta da personalità di grande spessore, dalla ex premier danese Helle Thorning-Schimidt alla Nobel per la Pace yemenita Tawakkol Karman, all'ex direttore del britannico Guardian Alan Rusbridger – è di fatto la risposta "nobile" del social più criticato degli ultimi anni, al centro delle polemiche per la scarsa trasparenza e per il proliferare di disinformazione e di gruppi violenti organizzati, oltre che per i sospetti di strapotere anticoncorrenziale.
La numero due di Facebook, Sheryl Sandberg, si è attirata molte critiche nei giorni scorsi per aver scaricato la responsabilità di quel che è accaduto a Capitol Hill su altri social da lei ritenuti "minori", mentre sono anni che nei gruppi privati e anche nelle pagine pubbliche di Facebook il suprematismo bianco americano fiorisce indisturbato. L'Oversight Board viene visto così un po' come la "foglia di fico" di Facebook di fronte alle critiche. Già le prime "sentenze" provocano reazioni nei gruppi di interesse coinvolti: il post su Myanmar ha fatto sollevare i Muslim Advocates, che accusano il Board di fare un ragionamento involuto per giustificare alla fine il clima di odio nel Paese. "È chiaro che l'Oversight Board serve a sollevare Zuckerberg e Sandberg dalle loro responsabilità – dice il portavoce del gruppo Eric Naing – Invece di adottare azioni incisive per eliminare i discorsi di odio dalla piattaforma, Facebook addossa la responsabilità a un terzo attore che usa delle tecnicalità ridicole per proteggere i contenuti di odio anti-musulmano che contribuiscono al genocidio".
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