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Editori e librai europei a confronto: “Così abbiamo sconfitto la crisi”

Più umanità e meno algoritmi, questa è la verità sul mercato del libro. Soprattutto se fuori di casa avanza la pestilenza. I grandi signori dell'editoria europea, riuniti in un seminario organizzato dalla Scuola Umberto ed Elisabetta Mauri (per la prima volta online dopo trentasette edizioni a Venezia), sono concordi nel giudicare "il libro solido come una roccia", e le librerie un architrave insostituibile. Crescono ovunque gli e-book e gli audiolibri? Il re della foresta culturale resta sempre il volume di carta. E se è vero che l'e-commerce è stato il salvagente nella tempesta, degli store fisici non si può fare a meno.

La voce più chiara è arrivata da James Daunt, il manager inglese che è riuscito a rilanciare le librerie Waterstones ferite a morte da Amazon e ora è impegnato nel potenziamento dell'americana Barnes & Nobles, la catena più grande nel mercato globale. "Abbiamo retto bene alla crisi rafforzando il mercato sull'online. Ma alla fine di ogni giornata mi ripeto che noi siamo dei librai. E che la sfida con Amazon riusciamo a vincerla curando i nostri spazi fisici di vendita, rendendoli più affascinanti, restando vicini ai lettori con suggerimenti e iniziative". In Gran Bretagna le librerie sono ancora chiuse e lo resteranno per svariate settimane. "Ma questo non ci impedisce di pensare a come ingrandirle e valorizzarle, conservando ciò che le rende uniche, ossia i librai. Nonostante le perdite di Natale e la necessità di contenere i costi, noi vogliamo mantenere il nostro personale, coltivandone la passione intellettuale e la curiosità. Ed è per questo che il loro lavoro prosegue sull'online, finché non si tornerà alla normalità e le librerie riapriranno più motivate di prima". Questo vale per Waterstones ed anche per Barnes & Noble, aggiunge Daunt, abituato a fare la spola tra Londra e New York.

E' stato Daunt a importare in queste grandi catene (salvandole) il criterio del "local", ossia del radicamento nel territorio. I gusti di un newyorkese di Union Square sono diversi da quelli d'un americano del Kansas e i librai devono tenerne conto diversificando l'offerta. Esattamente come fa un libraio indipendente. La parola "local" torna insistentemente nei ragionamenti di un altro boss del libro, Michael Busch, amministratore delegato di Thalia, la più grande catena europea con oltre duecento punti vendita in Germania, Austria e Svizzera. In Germania la chiusura delle librerie fisiche ha procurato un calo delle vendite che è stato in parte compensato dall'e-commerce (il mercato registra un meno 2,3%). Ma è interessante ascoltare come Busch sia riuscito a rubare dei lettori al più temuto degli avversari. "Abbiamo sottratto ad Amazon una fetta consistente di lettori – il 5 per cento dei nostri clienti – grazie agli store che si sono organizzati per le consegne a domicilio. Le librerie sono l'asse portante della nostra strategia ed è per questo che vogliamo crearne di nuove nelle regioni che ne sono sprovviste". L'obbiettivo è raddoppiare i clienti, nell'arco di cinque anni. E dimezzare la fascia dei non lettori. "Per far questo", aggiunge l'amministratore delegato di Thalia, "occorre creare una comunità coesa. Da business company, Thalia è diventata una piattaforma aperta a duemila librai: solo insieme agli altri bookseller si può sconfiggere Golia". Busch mostra delle buffe diapositive dove un esilissimo Davide fronteggia i mostri di Google, Amazon, Facebook. "Davide da solo non può farcela. Questo è un modo vecchio di immaginare la competizione nel mercato dei libri. Ora serve che tutti i Davide del mondo si uniscano. Soltanto in questo modo possiamo vincere la sfida più difficile".

Libri, il mercato cresce nell'anno della pandemia: più 2,4%

di

Raffaella De Santis


Dal confronto tra le varie voci europee, l'Italia emerge come il modello più luminoso. La decisione di non chiudere le librerie sotto il lockdown, giudicando il libro bene necessario, fa del nostro paese un caso unico e molto invidiato da Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania. Non perde occasione di rilevarlo il presidente dell'Aie, Ricky Levi, sottolineando il buon andamento delle vendite del libro di carta (più 0,3%), il quinto miglior risultato dopo Spagna, Regno Unito, Olanda e Finlandia. Naturalmente la resistenza del libro sotto la pandemia è dovuta anche all'attrezzatura digitale degli editori: là dove l'e-commerce è poco sviluppato, ad esempio in Portogallo, il calo delle vendite segna un meno 19%. Tecnologia e "porta a porta": sembra questa la formula che ha trionfato ovunque. E se la Spagna può vantare l'ottima riuscita di Todos los libros – una rete di librai per la consegna domiciliare – in Italia hanno avuto successo analoghe iniziative come "Libri da asporto".

Il trasferimento nelle normali attività del libraio nel digitale non registra effetti uguali per tutti. Jesús Badenes, amministratore delegato di Planeta, ha raccontato l'entusiasmo con cui gli spagnoli hanno accolto le presentazioni degli autori su Instagram (il libro insignito nel 2020 del premio Planeta, Aquitania di Sáenz de Urturi, ha venduto il cinquanta per cento in più rispetto al libro premiato nel 2019) , mentre Siv Bublitz, alla guida di Fischer Verlag, s'è mostrata più scettica. E' soprattutto l'editrice tedesca, supportata dal collega francese Arnaud Nourry, a sottolineare la crescente omologazione dei gusti dei lettori favorita dall'e-commerce. "Sotto la pandemia", dice Bublitz, "tendiamo a vendere di più i nostri bestseller o la narrativa di genere mentre fatichiamo a far passare le voci nuove, autori esordienti solitamente affidati al passaparola dei librai". Un'altra conseguenza del Covid va cercata nel taglio della produzione. "Nel 2020 abbiamo rinunciato a mandare in stampa sessanta nuovi titoli, riservandoli al nuovo anno", racconta l'amministratrice delegata di Fischer Verlag. "Così abbiamo la possibilità di promuovere tutte le nostre novità, valorizzando il lavoro dell'autore". Sul principio del taglio si trova in disaccordo Nourry, l'editore di Hachette Livre. "In nome della libertà di stampa sono contrario a tutte le forme di regolazione del libro, ma da publisher capisco la necessità di intervenire sul numero dei titoli. Dovremmo cercare di essere più selettivi, senza venire meno alla nostra missione che è trovare il pubblico per gli autori".

Dall'industria del libro arrivano parole di speranza. E in fondo non potrebbe essere diversamente. "All'inizio eravamo molto spaventati", ha confessato Stefano Mauri, il timoniere del gruppo Gems che è anche padrone di casa, "ma oggi prevale l'ottimismo". Nonostante tutte le profezie nefaste degli anni passati, del libro non si può fare a meno. "In Francia ci sono state tantissime petizioni per tenere le librerie aperte", dice Nourry. "Non siamo stati ascoltati e ne abbiamo pagato le conseguenze (ndr il calo del mercato è meno 2%). Ma non ho visto eguali mobilitazioni per i parrucchieri o altri generi merceologici. Siamo noi gli unici vincitori di questa crisi".

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