Caleb Plant è nato in un caldo luglio del 1992 a Nashville. Nel gennaio del 2019 è diventato campione del mondo dei supermedi nella versione Ibf: ha difeso in due occasioni il suo titolo senza che gli avversari potessero ascoltare il gong dell'ultimo round. Nella notte italiana tra sabato e domenica lo farà per la terza volta, opposto sul ring di Los Angeles a Caleb Truax. Sembra la storia a lieto fine di un ragazzo del Tennessee che ha fatto della boxe il faro della propria esistenza. Ma non è così. Da quel luglio di 29 anni fa sono successe troppe cose nella sua vita, e Caleb può essere felice solo nei momenti in cui riesce a non pensarci.
Sweethands, mani dolci, ama farsi chiamare così: la sua è indubbiamente una boxe elegante, così come sono gentili i lineamenti del viso. Vedendolo combattere, non dà l'idea di riversare su quel ring la rabbia di una infanzia impossibile, piuttosto di cercarvi la felicità. Come quando, appena diventato campione del mondo e con il viso segnato dalla battaglia contro Josè Uzcàtegui, si inginocchia davanti alla amata Jordan, una affermata reporter di pugilato, chiedendole di sposarla. Quel sì, il più tenero dei verdetti, può finalmente chiudere un cerchio che in origine sembra una linea piatta, monotona, senza soluzione di continuità. Un'origine in cui la culla di Caleb è una cassetta di legno e il suo tetto quando va bene è una roulotte, e non di quelle che sembrano case ambulanti, dove c'è tutto e funziona tutto.
Knew our paths would cross @GoldenCalebT don’t you know I keep receipts. Don’t wish for someone else to YOU DO IT! pic.twitter.com/U9TKeFfMMd
— CalebPlant (@SweetHandsPlant) January 28, 2021
Nella roulotte dei Plant d'estate il caldo non dà tregua e d'inverno anche il clima di Nashville può essere cattivo. ''Eppure con mia sorella riuscivamo a divertici, anche nelle difficoltà ci aiutavamo''. A nove anni l'idea del padre di portarlo in una palestra, l'amore per la boxe, i sogni. Se la cava bene come dilettante, e quando passa professionista nella sua vita c'è già la piccola Alia. E' una bambina nata dalla storia con un amore giovanile, ma la malattia con la quale viene al mondo le concede appena 19 mesi di vita. Caleb giura che per lei diventerà campione del mondo, inizia una rincorsa determinata, lunga 4 anni, e onora la promessa: il giorno dopo è accanto alla lapide della piccola con la cintura del trionfo.
La Stavolta il cerchio sembra essersi chiuso davvero. Caleb e Jordan vivono a Las Vegas, sono felici. Ma a Nashville la madre di Caleb sta perdendo la sua battaglia. Deve essere ricoverata, ma per lei quelli dell'ambulanza che la stanno trasportando verso l'ospedale sono nemici. E' come se la vita non smettesse di presentarle il conto. Nemici, li vuole combattere con un coltello, interviene la polizia: parte un colpo, la vita di Beth finisce in un istante. "Avresti dato le scarpe che avevi ai piedi e i tuoi soldi a chiunque ne avesse avuto bisogno", è il pensiero di Caleb, che torna sul ring e vince, non si ferma.
"Sono io il migliore della categoria, ho dominato uno come Uzcàtegui e farò la stessa cosa con Canelo". Già, perché oltre a Truax, nella mente di Plant c'è un pensiero fisso, sfidare il più forte della categoria, Canelo Alvarez. Tutti vogliono incontrarlo, oggettivamente con pochissime possibilità di spuntarla ma con la certezza di arricchire in maniera considerevole il conto in banca. Eppure la storia di Plant ci dice che dietro la voglia di essere il migliore, oltre al conto in banca ci sia molto, molto altro.
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