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Al via l’anno giudiziario in tempi di pandemia. In Cassazione sfila la “giustizia che non c’è”

Il Covid, ovviamente. E i fondi del Recovery. E i processi civili e penali a rilento. I giovani e la scuola. Un Guardasigilli, Bonafede, dimezzato dalla crisi di governo. La sua relazione è solo tecnica, niente politica. Ma i vertici delle toghe italiane non fanno sconti alla politica. Non nascondono nulla, né i reati, quelli gravissimi contro le donne, né la crisi della stessa magistratura per via del correntismo. In Cassazione, per la tradizionale cerimonia d'apertura dell'anno giudiziario, sfilano gli ermellini in toga rossa. Consegnano, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, seduto come sempre in prima fila, la fotografia di una giustizia a rilento, che però proprio dal Covid potrebbe rinascere diversa, digitale anziché cartacea.

Solo in 32 nella grande aula del Palazzaccio

Nella grande aula della Cassazione da 350 posti ci sono solo 32 presenti. Il – da sempre – grande evento della giustizia italiana si auto comprime. Per la prima volta nessun giornalista guarda la cerimonia dal doppio ballatoio che sovrasta la sala. Tutte online le relazioni, e la diretta video trasmessa dalla Rai. Protagoniste sembrano le mascherine. Il primo presidente della Suprema Corte Pietro Curzio, al suo primo anno giudiziario, riassume in un'immagine il senso della giustizia. Un bozzetto apre la sua relazione. Rappresenta il processo a Verre, "imputato di gravi concussioni e peculato in danno della Sicilia di cui per tre anni era stato governatore, un giudizio in cui l'accusa fu sostenuta da un ancor giovane Cicerone e la difesa da Ortensio, all'epoca principe del Foro romano". Ma, come spiega Curzio, l'affresco per il quale era stato stilato il bozzetto non è stato mai realizzato. Tant'è che "la parete qui alla mia destra è rimasta bianca. È l'affresco che non c'è?".

Solo 32 presenti nella grande aula della Cassazioneda 350 posti (ansa)

Quel bozzetto rappresenta anche lo stato della giustizia in Italia, perché il Covid, dice Curzio, "ha comportato il sostanziale blocco per un certo periodo, una faticosa e difficile ripresa per la restante parte dell'anno e oggi ci pone dinanzi alla necessità di ripensare profondamente il sistema. Di partecipare alla costruzione di un qualcosa che ancora non c'è?". Appunto, la giustizia dopo il Covid che ancora non c'è. Perché "la pandemia ha ulteriormente mostrato l'inadeguatezza del sistema, la gracilità e vetustà di molti suoi gangli, e pone in modo deciso la necessità di un cambiamento profondo e incisivo, prima di tutto culturale".

Curzio parla per primo, poi il Procuratore generale Giovanni Salvi, il vice presidente del Csm David Ermini, il Guardasigilli Alfonso Bonafede, e due donne protagoniste entrambe del mondo della giustizia, Gabriella Palmieri, al vertice dell'Avvocatura generale dello Stato e Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense. Complessivamente una fotografia della giustizia in Italia che consegna un paese pressato dai reati (corruzione, mafia, omicidi delle donne), rallentato dalla pandemia, appeso ai fondi del Recovery, spaventato e dubbioso sul suo futuro politico.

Curzio e la citazione di Draghi

Nell'aula magna della Suprema corte risuona la citazione che Curzio fa di Mario Draghi, uno dei protagonisti silenziosi dell'attuale crisi di governo. "Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza". Curzio sottoscrive questa preoccupazione perché "il debito dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani". Per questo non sono ammessi ritardi e "ciascuno nel rispetto delle proprie competenze e in adempimento dei propri doveri" dovrà fare del suo meglio. A partire dalla giustizia e dai suoi ritardi. Anche perché lo stop "a quella stanza di compensazione che è la scuola ha prodotto un silenzioso aumento dei maltrattamenti in famiglia verso minori e più in generale l'incremento di minori maltrattati o abbandonati".

Un ritardo che Curzio non minimizza. A partire dai numeri, perché "ogni anno sopravvengono in Cassazione piu? di 30mila ricorsi civili e 50mila penali. Un dato quantitativo unico nell'esperienza giuridica internazionale". È necessaria "tempestività", ma "i tempi del processo civile superano il livello di ragionevolezza; la qualita? dei provvedimenti non sempre e? all'altezza del ruolo della Corte; i contrasti, molto spesso inconsapevoli, sono diffusi e ricorrenti". Ma qui s'instaura un "circolo vizioso" perché "quanto maggiore è il numero dei ricorsi, tanto maggiore è il numero dei giudici necessari alla Corte; quanto maggiore è il numero dei giudici, tanto maggiore è il rischio di decisioni non omogenee o contrastanti tra loro".

Sarà l'interrogativo del futuro. Per adesso Curzio non è pessimista sui suoi numeri quando dice: "Il terribile anno che ci siamo lasciati alle spalle ci ha visti impegnati fondamentalmente a limitare i danni e alla fine il bilancio e? positivo. Grazie a un forte recupero nel secondo semestre, siamo riusciti a definire piu? di 30mila processi civili e nel penale siamo riusciti a conservare tempi di definizione dei giudizi inferiori ad un anno". Il primo presidente boccia l'idea di ridurre il processo d'appello, chiede al governo di far partire il processo telematico anche per la Suprema Corte. Quando affronta il momento "travagliato" della magistratura, Curzio cita una frase di Rosario Livatino, il giovane magistrato giustiziato da Cosa nostra, quando scrive che "non ci sara? chiesto se siamo stati credenti ma credibili". E chiosa: "Forse il segreto e? semplicemente, per ogni scelta che operiamo, di chiederci quanto siamo credibili". Un messaggio che impatta con le durissime polemiche sul correntismo, sulle chat di Palamara. Sui retroscena che turbano lo stesso Csm in quello che si può considerare come l'anno nero delle toghe. Sulle quali però apre una nota positiva il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia quando contesta le ricostruzioni dell'ex pm e le definisce un "affresco" che "dileggia un'istituzione dello Stato, che reca un grave torto alla realtà, in cui i magistrati sono ancora e autenticamente un potere diffuso, non governabile e non orientabile da mediatori improvvisati".

Bonafede ringrazia i magistrati

Certo non parla di toghe corrotte il Guardasigilli Alfonso Bonafede, perché la crisi politica gli impone di limitarsi a considerazioni tecniche, proprio com'è già avvenuto in Parlamento. Parte dalla pandemia che "ha inciso fortemente anche sul settore della giustizia". Bonafede esprime "la profonda gratitudine ai magistrati togati e onorari, avvocati, personale amministrativo, polizia penitenziaria che, con spirito di sacrificio, competenza e abnegazione, hanno permesso che la giustizia non si fermasse nemmeno nei momenti di maggiore difficoltà". Poi vanta il calo dei detenuti, parla di "significativa diminuzione", fornisce la cifra di chi sta in carcere a oggi, 52.369 persone. Dal Covid anche un fortissimo impulso alla digitalizzazione che potrebbe avere effetti positivi nel futuro, tant'è che il ministro cita l'uscita nella Gazzetta ufficiale della norma che consentirà dal 31 marzo il deposito telematico facoltativo con valore legale degli atti processuali e dei documenti presso le sezioni civili della Cassazione.

giustizia

Prescrizione, Costa e Magi contro Bonafede: "Si torni alla legge Orlando"

di

Liana Milella


Ermini e i non raccomandati

Invece è proprio sul caso Palamara che arrivano input dal vice presidente del Csm David Ermini. Il suo invito è quello di superare le correnti, il correntismo, le raccomandazioni. E garantire chi chiede un posto solo con la sua faccia." Perché, secondo lui, "vanno salvaguardate le giuste ragioni di quei magistrati che, senza spudoratezza di rapporti o appoggio di cordate correntizie e del tutto alieni da una pratica indecente quale la cosiddetta coltivazione della domanda, aspirano legittimamente al riconoscimento delle loro capacità e delle loro attitudini". È una previsione realistica e praticabile? Ermini la presenta così: "Occorre che ogni decisione sia preceduta da una congrua, preventiva istruttoria e sia corredata da una adeguata e approfondita motivazione; che le nomine agli uffici apicali siano prese nella rigorosa osservanza del metodo cronologico; che le assegnazioni di funzioni o l'attribuzione di incarichi che richiedono peculiari requisiti di idoneità siano precedute dalla sola, scrupolosa valutazione delle necessarie competenze tecniche, senza cedere alla tentazione di accordi preventivi volti alla ripartizione dei posti". Quello che tutti gli italiani pensano che già si faccia, ma che evidentemente rappresenta una novità.

Salvi, azioni disciplinari e femminicidi

E proprio sul caso Palamara il procuratore generale Giovanni Salvi parla di "reazione sanzionatoria pronta ed efficace". Quelle 26 azioni disciplinari aperte in piazza Cavour, di cui 17 sono già a giudizio sul tavolo del Csm. E le altre su cui sta lavorando il suo team di procuratori che peraltro, a quanto trapela, hanno più volte sentito lo stesso Palamara. Ovviamente Salvi non minimizza quanto è accaduto e che adesso deve spingere la magistratura a "ricostruire la sua credibilità duramente scossa dalle indagini che hanno portato all'emersione di un sistema diffuso di asservimento del Csm a logiche di interessi di gruppo, e che ha consentito anche condotte di assoluta gravità alcune delle quali in precedenza mai verificatesi". Ma Salvi ripete quanto ha detto più volte in questi due anni, e cioè che "l'auto raccomandazione è un meccanismo interno che esiste nella magistratura. Chi concorre a un posto vuole avere spesso un rapporto diretto con il consigliere del Csm". E in questo Salvi non ravvisa, di per sé, una colpa.

Ma è sul Covid e sui reati più diffusi in Italia che la relazione di Salvi offre molte novità. A partire dai femminicidi. Perché se calano gli omicidi volontari – 268 nel 2020 con un calo del 13,5% rispetto ai 315 del 2019 – gli assassini delle donne aumentano. Erano 132 nel 2017 su 375 omicidi, salgono a 141 nel 2018 sul totale di 359, sono 111 nel 2019 e 112 l'anno scorso. Quindi il 42% rispetto al totale.

La pandemia ha portato Salvi a concentrarsi sia sull'uso dei processi da remoto, sia sull'effettiva necessità della permanenza in carcere, e sui detenuti, su quella che definisce "l'esclusione degli ultimi dai benefici a causa della loro marginalità sociale". Salvi parla di "primi frutti, davvero positivi, così da far sperare che il distanziamento sia raggiunto senza ricorrere a rischiose scarcerazioni e che – passata la pandemia – coloro che hanno diritto a usufruire di misure alternative non debbano scontare due volte la pena, a causa della loro emarginazione sociale".

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