LONDRA – Il Regno Unito ha superato i 100mila morti per Covid anche a causa di enormi e risaputi errori in passato. Ma Boris Johnson, nonostante gli iniziali disastri nella lotta alla pandemia, ha in tasca un jolly: sui vaccini il primo ministro britannico sinora le ha azzeccate tutte. E questo potrebbe essere il “game changer”. Ossia la svolta della sua permanenza a Downing Street e della sua carriera politica.
Il Regno Unito, dopo essere quello più martoriato dal Covid, potrebbe presto diventare il primo Paese europeo a uscire dall’incubo e ricominciare una vita normale. Potrebbe essere il primo Paese europeo a far ripartire l’economia, nonostante la Brexit. E Johnson, a quel punto, potrebbe recuperare quel lustro che non hai mai avuto durante il primo, complicatissimo anno a Downing Street. E spianare il terreno per la sua rielezione al voto del 2024 contro il leader laburista Sir Keir Starmer.
Downing Street ostenta sicurezza
Mentre l’Ue, rimasta senza sufficienti dosi di vaccino, si accapiglia con AstraZeneca e cerca disperatamente di trovare una soluzione dopo la rissa scatenata dall’intervista del ceo Pascal Soriot a Repubblica, Johnson ostenta una sicurezza raramente vista da quando ha trionfato alle elezioni del dicembre 2019: “Le nostre forniture di vaccino vanno avanti senza problemi, non ci saranno intoppi”. È così: il Regno Unito oramai inocula oltre 3 milioni di persone a settimana, circa 500mila al giorno, saranno complessivamente 30 milioni entro marzo, tutta la popolazione adulta entro l’estate. E questi numeri cresceranno perché la macchina da guerra per la somministrazione dei vaccini messa su dal governo Johnson è piuttosto impressionante. Numeri enormi rispetto a quelli sinora anemici dell’Ue.
Quando Johnson trasuda tranquillità, nonostante “la strada verso la normalità sia ancora molto lunga”, non è solo un atteggiamento di facciata. Il numero esatto di dosi che il Paese ha a disposizione il governo britannico non lo dice mai. Ma secondo il Times sarebbero già così tante che qualcuno a Whitehall sta già pensando di dirottare qualche stock nei Paesi in via di sviluppo o in Ue tramite la stessa Astrazeneca, che secondo Soriot ha concesso a Johnson una priorità sulle dosi di vaccino prodotte in Regno Unito.
Il nuovo preparato "fatto in casa"
Sinora in totale il governo Johnson ha pre-ordinato 100 milioni di dosi del vaccino di AstraZeneca, 40 milioni di Pfizer/BionTech e altre 10 milioni di Moderna. Oggi il ministero della Salute britannico ha annunciato anche lo sviluppo di un vaccino fatto in casa dall’azienda Valneva, che, se approvato, potrebbe procurare altre 60 milioni di dosi entro la fine dell’anno. Per non parlare degli altri vaccini come Johnson & Johnson attesi nei prossimi mesi.
Da dove arriva questo grande vantaggio del Regno Unito sui vaccini? Semplicemente, Boris Johnson si è mosso prima. Con estrema scaltrezza e intelligenza, mentre molti altri Paesi hanno esitato a comprare a scatola chiusa decine di milioni di dosi di vaccino ancora in fase di sperimentazione e che allora avevano poche speranze di essere efficaci, vista l’usuale durata pluriennale di test richiesta. Il primo ministro britannico però non ha badato a spese. E difatti già lo scorso maggio aveva annunciato di aver pre-ordinato 30 milioni del vaccino di Oxford.
Come si notava già all’epoca, in un processo così complesso e frenetico nel lancio e nella distribuzione di un nuovo potenziale vaccino anti Coronavirus, era chiaro da subito che il primo a muoversi avrebbe avuto un vantaggio enorme sugli altri Paesi. Perché avrebbe fatto ripartire l’economia prima di tutti, perché sarebbe tornato a una semi-normalità prima di tutti, perché avrebbe allentato l’enorme pressione sociale cui tutti i popoli colpiti dalla pandemia sono ora sottoposti.
Per questo le affermazioni di ieri della Commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, “qui non conta chi arriva primo, non siamo dal macellaio”, sono piuttosto surreali. Certo, Johnson dalla sua ha il legale indissolubile del governo britannico con l’Università di Oxford, Astrazeneca è una compagnia parzialmente britannica, quindi il primo ministro ha “giocato in casa” con questo vaccino, assicurandosi anche la clausola “prima i britannici” nel contratto.
Ma, come ha spiegato Soriot a Repubblica, chi arriva prima ha certamente un gran numero di vantaggi, se non altro nell’approntare la macchina della produzione del vaccino di AstraZeneca ed evitare possibili intoppi, come sono capitati purtroppo nella “catena di montaggio” dedicata all’Ue.
Le conseguenze politiche
Tutto questo ha ovviamente anche importanti conseguenze politiche, non solo di salute pubblica o economiche. Innanzitutto, è innegabile che il Regno Unito sull’approvvigionamento dei vaccini abbia avuto un vantaggio dalla Brexit. Perché ha agito per conto suo decidendo di non partecipare al programma Ue dei vaccini (e ne aveva ancora diritto nel periodo di transizione l’anno scorso). Perché non ha dovuto dividere inevitabilmente il tesoro che ha in casa con Oxford e il suo istituto Jenner.
Ma soprattutto perché è riuscita a muoversi prima dell'Ue, che invece con i colossi farmaceutici del vaccino ha cercato un’intesa inclusiva di tutti i Ventisette, arrivando a firmare un contratto con AstraZeneca soltanto a fine agosto 2020. Addirittura, Robert Peston di Itv e anche Politico, raccontano di come alcuni Paesi come Italia, Germania, Francia e Paesi Bassi avessero già raggiunto accordi individuali a metà estate con AstraZeneca, ma hanno dovuto aspettare perché sarebbe stata l’Ue a firmare i contratti per tutti. Non a caso, Berlino qualche settimana fa si è mossa da sola per forniture supplementari del vaccino di Pfizer destinate soltanto alla Germania.
Questo significherà, almeno a breve termine e almeno su questo singolo aspetto, certamente un “boost”, un aumento di consensi, per la Brexit. È molto probabile che l’uscita dall’Ue avrà numerose conseguenze negative e già ora si vedono le prime distorsioni che colpiscono persino i cittadini europei e britannici che vogliono spedire un pacco. Ma è indubbio che Johnson, qualora dovesse andare tutto per il verso giusto nel programma di immunizzazione nazionale anti Covid, si rivenderà questo successo anche come “figlio” della Brexit, di cui lui è demiurgo, strillone e utilizzatore finale.
Non solo. Perché se il Regno Unito uscisse prima dell’Europa dalla crisi pandemica e l’Ue dovesse ancora arrancare, le conseguenze si farebbero sentire, e con forza, anche sull’economia. A quel punto il Regno Unito potrebbe ricominciare a crescere con più rapidità e vigore degli “amici” europei, nonostante la Brexit, e nascondere le conseguenze negative dell’uscita dall’Ue, ringalluzzendo gli euroscettici del Vecchio Continente. Sarebbe un altro trionfo per Johnson, nonostante i disastri sinora nella lotta al Covid. E a quel punto un secondo mandato per lui sarebbe scontato. Non a caso, i sondaggi per il Labour non sono più positivi come a fine anno scorso. Boris Johnson è tornato in testa, nonostante tutto.
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