Nel 1930, Osip Mandel’štam, il poeta, partì per l’Armenia; a Erevan trovò sulla finestra dell’hotel un pezzo di vetro nero: era ossidiana vulcanica, dimenticata da qualche geologo. Tra quelle “pietre urlanti” ritrovò l’ispirazione; e sarebbe stato il suo Viaggio in Armenia (1931) a far assumere al Sunday Times Bruce Chatwin. Era il 1972; Chatwin arrivò in redazione con «strani occhi azzurri e il saggio di Mandel’štam», che lesse ad alta voce: «Ci siamo innamorati di Bruce», ammisero al giornale. Una delle interviste proposte da Chatwin fu alla vedova di Mandel’štam, Nadežda (aveva viaggiato col marito, e salvato le sue poesie, imparandole a memoria). Il contatto glielo fornì la grande giornalista Martha Gellhorn, che «con suo infinito rincrescimento» era stata moglie di Ernest Hemingway – in realtà, accanto al ”laconico” Osip, Ernest era l’altro modello di scrittura per Bruce: portava i suoi racconti negli zainetti da viaggio che gli davano, a 33 anni, l’aria di un boy scout. Nadežda era a Mosca. «Le porti» si raccomandò Martha «marmellate d’arancia, penne bic e thriller americani».
Col giornalismo, Bruce diventò “nitido”. Ma per gli editor, quella scrittura lapidaria gli derivava dal primo lavoro, da Sotheby’s. La casa d’aste profittava del fatto che lui fosse, come si sa, magnifico; una volta che Somerset Maugham, lo scrittore, aveva ritirato dalla vendita la sua collezione, il capo lo mandò da lui («si lavi i capelli» lo esortò); Maugham si lasciò convincere da quell’«esca umana». Bruce diventò un esperto catalogatore; designava gli oggetti con parole inconfondibili, dopo averli osservati intensamente (un designer, John Stefanidis, voleva copiare delle sedie viste alla villa Malcontenta di Palladio; Bruce gli fornì le misure, a memoria). Chatwin imparò a tradurre i concetti visivi con la precisione di un cecchino e l’abito mentale del catalogatore: cercava le origini degli oggetti, e da lì veniva la storia. In Patagonia (così desolata! «chi vorrebbe mai bombardarla?»), il mitico libro di viaggio, è scritto così. A Ushuaia, la città più a sud del mondo, «crescevano cavoli bianchi come teschi»: inizia così la storia di un anarchico russo «col pallore del ghetto», 18 anni, passato dalle prigioni zariste a quelle di Ushuaia, da cui lo fa evadere nel 1918 Pascualino (sic) Rispoli, napoletano; scrivendo Bruce pensava a Mandel’štam, morto in un gulag. Talvolta mentiva; racconta di un’infermiera ucraina a Rio Pico che recitava «come litanie» le poesie di Mandel’štam. Ma non lo conoscevo affatto!, si offese la donna, quando uscì In Patagonia: lei leggeva Conan Doyle e Agatha Christie.
Sul Venerdì del 22 gennaio 2021
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