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Espulsi e licenziati, storie di ebrei nella Sicilia complice

Né accogliente né multiculturale. Il nuovo libro di Alessandro Hoffmann è un racconto-saggio storico che rompe lo stereotipo sulla Sicilia e conduce il lettore dove non sapeva di potere andare. In un luogo e un tempo abitati dal dolore, dove per indolenza o paura ci si è adattati a qualcosa di abietto e poi s’è continuato come se niente fosse, senza mai affrontare la memoria dell’orrore. Con Gli amici di Moïse. Cento e più storie di ebrei di Sicilia, prefazione di Davide Camarrone e postfazione di Salvatore Savoia (edizioni Kalós, 319 pagine, 18 euro) le lunghe ricerche compiute da Hoffmann si saldano ai racconti privati, trasformandosi in storie di vita che lasciano il lettore sgomento.
Si parte dal 1938, quando l’Italia diventa uno Stato razzista e anche l’Università si allinea alle leggi razziali senza un sussulto. A Palermo, all’inaugurazione dell’anno accademico, il Rettore Giuseppe Maggiore argomenta che le leggi razziali «non rappresentano una persecuzione ma attuano una campagna di energica profilassi della vita nazionale» e conclude che cinque professori vengono per questo allontanati. Da Catania gli risponde il collega Orazio Condorelli: a parte un caso dubbio, quella è un’Università «purissimamente italiana» e anche il rettore di Messina conforta il suo uditorio, l’ateneo sullo Stretto «ha il privilegio di essere tra i più puri d’Italia, dal punto di vista razziale».

In Sicilia ci sono fra 300 e 350 persone, il libro in gran parte raccoglie storie di ebrei residenti a Palermo. Sono 113 nomi e nelle loro storie troviamo la varietà della vita. C’è Alice Ziffer, prestigiosa pianista triestina e docente al Conservatorio: Hoffmann scrive che «apparteneva alla più gloriosa tradizione pianistica europea», ma era ebrea e venne espulsa.

Mario Fubini sarà uno dei più importanti critici letterari di tutto il secolo: licenziato dall’Università dove insegnava letteratura, espulso dalle Accademie letterarie di cui era socio, si rifugia in Svizzera e rientra in Italia nel ’45 ma nel frattempo buona parte della sua famiglia è stata annientata. Ci sono le gemelle Luisa e Margherita Ancona, nate a Palermo nel 1881 che da ragazze studiano a Messina: Luisa è fra le prime donne laureate in Medicina, durante la prima guerra mondiale è ufficiale medico; Margherita è una delle madri nobili del femminismo italiano, si è trasferita a Milano e insegna al liceo. Nel 1938 Luisa viene radiata dall’albo professionale, Margherita vive lo scioglimento della Federazione nazionale pro-suffragio che presiede. Di entrambe si perdono le tracce.

C’è Maria Di Gesù, nata a Monreale e insegnante, colpevole d’essere legata a un ebreo: durante una perquisizione viene scoperta una cartolina del fidanzato ma lei rifiuta di rivelarne il rifugio. Finisce ad Auschwitz, è rimpatriata nell’ottobre 1945 e dal ’47 torna a insegnare a Palermo. Di Michele Fiorentino sappiamo quasi niente: forse ebreo e forse no è nato a Casteldaccia, agricoltore, viene catturato all’Aquila e muore a Buchenwald il 13 ottobre del ’43. Anche per Olga Renata ed Enrico Castelli le notizie sono frammentarie: sono padre e figlia, lui insegna fisica negli istituti tecnici. Vengono arrestati e anche loro finiscono ad Auschwitz, ma non tornano.

Gli ebrei di Sicilia sono stati tutti perseguitati, privati di ogni diritto. Hanno conosciuto, licenziamenti, carcere, deportazione ma contrariamente ai tedeschi non abbiamo avuto alcun processo di Norimberga: non ci sono stati colpevoli, manca una lapide che dica da dove partirono i futuri deportati, non sappiamo dove abitavano né dove furono detenuti. Ogni cosa fu accettata, anche il “Testo unico per la difesa della razza nella scuola italiana” che stabiliva l’esclusione degli “alunni di razza ebraica”.

Alla caduta del fascismo venne poi comodo dimenticare ogni colpa, assolversi. E all’occorrenza tirare in ballo la favola consolatoria sulla multiculturalità e l’accoglienza dei bravi siciliani.

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