New York – Stop a tutte le concessioni per la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio sui terreni e nei fiumi federali: è uno dei provvedimenti ambientalisti che Joe Biden annuncerà domani. A una settimana dal suo insediamento alla Casa Bianca, prosegue l’attivismo normativo del nuovo presidente: questo mercoledì sarà dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico.
Realizzando un completo rovesciamento rispetto alle politiche del suo predecessore, Biden firmerà un ordine esecutivo che impone la moratoria per le concessioni ad aziende energetiche nella vasta porzione del territorio americano sotto giurisdizione federale. I terreni federali, compresi quelli che sono riservati alle tribù di nativi americani (quelli che un tempo si chiamavano indiani d’America), rappresentano quasi un quarto di tutte le emissioni nazionali di CO2 e le concessioni alle aziende energetiche generano un gettito fiscale di quasi 12 miliardi di dollari all’anno. La moratoria significa che diventano off limits per le attività di prospezione ed estrazione. Il 22% della produzione di petrolio e il 12% del gas naturale viene da questi terreni. Tra il 2014 e il 2019 sono state approvate 20.000 richieste di trivellazione in queste aree. Già una settimana fa, nel giorno stesso del suo giuramento il 20 gennaio, Biden aveva bloccato il completamento dell’oleodotto Keystone Xl, che avrebbe dovuto collegare il Canada al Golfo del Messico. Tra le altre misure che saranno annunciate domani nel pacchetto per l’ambiente, Biden metterà sotto la protezione ambientale come riserve naturali il 30% di tutte le terre e acque federali entro il 2030; istituirà una task force per un piano di riduzione delle emissioni carboniche; eleverà la lotta al cambiamento climatico al rango di “priorità per la sicurezza nazionale”.
Verranno insediate diverse commissioni federali per garantire la creazione di posti di lavoro in attività sostenibili, e progetti che aiutino la “sostenibilità sociale”: cioè la transizione per quei lavoratori danneggiati dai tagli alle energie fossili. Buona parte di questi gesti sono simbolici, vogliono esercitare un effetto-annuncio che segnali la volontà degli Stati Uniti di tornare ad avere una leadership mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico.
E’ uno dei terreni su cui Biden vuole anche cambiare la dinamica delle relazioni con la Cina. Da un lato il rientro della sua Amministrazione negli accordi di Parigi (anche questo un annuncio fatto il 20 gennaio, Inauguration Day) favorisce il ritorno ad una collaborazione con Xi Jinping. D’altro lato Biden vuole sottrarre alla Cina un argomento propagandistico, sapendo che ai proclami “verdi” di Xi Jinping non hanno corrisposto azioni coerenti.
La Cina ormai genera quasi il doppio delle emissioni carboniche degli Stati Uniti, ha continuato ad aumentare le sue emissioni nel 2020 mentre quelle americana calavano; non smette di costruire centrali a carbone in casa propria, e ne esporta altre in paesi emergenti lungo la Belt and Road Initiative. L’offensiva diplomatica internazionale su questo terreno è affidata all’ex segretario di Stato John Kerry, che Biden ha nominato “super-ambasciatore” per l’ambiente, una nuova funzione a cui ha voluto riservare un posto nel National Security Council.
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