Cos'hanno in comune Alexander McQueen, i Rolling Stones, Madonna e Mikhail Gorbaciov? Sono finiti tutti davanti all'obiettivo di Rankin (all'anagrafe John Rankin Waddell), che negli ultimi trent'anni si è imposto come uno dei fotografi di moda più ammirati al mondo grazie a ritratti potenti, originali, rivelatori. Anche imprenditore, regista, editore e attivista, a 54 anni Rankin è diventato lui stesso una superstar. Ma dice che la celebrità non fa per lui: "Per carità, non vorrei mai essere famoso come i soggetti dei miei ritratti, altrimenti devi stare all'erta 24 ore su 24" racconta dalla casa di Londra, dove vive con la moglie, la modella Tuuli Shipster. Certamente non smette di essere curioso: "Da nove mesi ho iniziato a fotografare i fiori e ora li sto studiando, è una sfida che stimola una parte diversa del mio cervello. Amo leggere e imparare cose nuove, la mia rivista si chiama Hunger, fame, per questo motivo. Su Audible ci sono delle splendide lezioni universitarie che ascolto quando porto a spasso il cane".
Il 23 gennaio, alle 20.45 debutta su Sky Arte e in streaming su Now Tv il primo dei sei episodi di Rankin's Photo Project, una serie diretta e prodotta dall'italiano Marco De Luca in cui il fotografo valuterà centinaia di scatti di dilettanti e professionisti, impegnati a catturare lo spirito del 2020. Sei le categorie: Empathy, Self, Beauty, Family, Nature, Fun.
Come le è venuto in mente questo show?
"L'abbiamo concepito all'inizio del lockdown, ma era da un po' che volevo realizzare qualcosa per incoraggiare le persone a mettersi alla prova con la fotografia. Quando è iniziata la pandemia il programma ha assunto un significato più profondo, alzando l'asticella delle aspettative".
Che cosa accomuna le foto arrivate sulla sua scrivania?
"Le persone si sono concentrate sui temi dell'ambiente e della famiglia, della speranza e della positività, per raccontare come affrontano le avversità. Sono rimasto sorpreso dalla grande qualità delle immagini: anche se non ce ne rendiamo conto, i social hanno trasformato tutti in creatori e creativi".
In passato parlava dei limiti dei social. Ha cambiato idea?
"No, penso ancora che siano anche un problema. Vi dilagano teorie complottiste e fake news e hanno effetti devastanti sulla nostra salute mentale, visto che spesso esibiscono una perfezione che non è reale. Per il progetto Selfie Harm ho chiesto a 15 adolescenti di farsi dei selfie e di modificarli per conto proprio con un'app. I risultati sono stati inquietanti".
Il suo rapporto con la fotografia, invece, è iniziato tardi.
"Mio padre amava il cinema e io sono cresciuto guardando i film su Bbc Two. Fino ai 20 anni non sapevo niente di foto: è stato un bene, mi sono fatto le mie opinioni senza lasciarmi condizionare. C'erano anche dei limiti: per via di come venivano raccontati sullo schermo, credevo che i fotografi dessero ordini e fossero interessati solo alle proprie idee".
Non è così?
"Al contrario, la collaborazione è fondamentale. A inizio carriera ho fatto un po' lo stronzo, lo ammetto. Ero egocentrico e dalle vedute ristrette, forse tendevo a strafare per compensare le mie insicurezze".
Era intimorito dalle persone che fotografava?
"No, i miei genitori mi hanno insegnato a non mettere nessuno su un piedistallo, parlo a tutti come a miei pari. È anche lo spirito di Glasgow, dove sono cresciuto e dove l'uguaglianza è un concetto scontato. Siamo tutti umani, specie davanti a una macchina fotografica che, se utilizzata in modo corretto, può svelare la nostra natura. Ecco perché molte celebrità sono nervose quando scatto".
Le star di Hollywood amano mettersi in posa?
"La maggior parte lo detesta. Quando li fotografo passo due o tre ore con loro, ma non posso dire di conoscerli davvero, anche se capita che mi confidino i loro pensieri più intimi. Faccio molte domande e sono curioso, ma tengo a mente che posso vedere solo ciò che scelgono di mostrarmi".
I più entusiasti?
"Heidi Klum, Courtney Love e Robert Downey Jr., l'uomo più simpatico che abbia mai conosciuto. E non è affatto vanitoso, al contrario della maggior parte degli attori".
Il meno collaborativo?
"Eminem non era di buon umore, ma voleva partecipare. Mi disse: "Sono annoiato da me stesso". Se fossi stato più giovane l'avrei presa sul personale, ma ho rispettato la sua onestà. Il mio lavoro non è giudicare i soggetti: se sono alla mano, sono felice. Se non accade, guardo le cose da un'altra prospettiva".
Un esempio?
"Ho fotografato Lech Walesa per una cover del New York Times. Era di pessimo umore e mi diede solo 15 minuti. Mi arrabbiai tantissimo ma poi scoprii che aveva il cancro. Mi sono vergognato per essere stato così arrogante. Pensare che gli altri ci debbano qualcosa è sbagliato: tra me e loro c'è un rapporto simile a quello tra medico e paziente".
Chi l'ha sorpresa?
"David Bowie aveva una bellissima energia e tanta voglia di fare. Le mie foto con lui sono diverse da quelle degli altri, ma non sono certo che gli siano piaciute: ho voluto coglierne non tanto la maschera, ma il calore".
Come nel caso della Regina Elisabetta, che ride di gusto.
"Avevo 35 anni, feci molte ricerche prima di andare a Buckingham Palace. Il mio assistente fece cadere parte dell'attrezzatura, lei scoppiò a ridere mentre io e lui tremavamo per il nervosismo. Volevo immortalarne un sorriso, perciò iniziai a rendermi ridicolo, alla Austin Powers. Funzionò".
Chi c'è nella sua lista dei desideri?
"Obama, che ammiro profondamente, ma anche Russell Crowe e Sean Penn, attori magnifici".
Trump le interessa?
"Mi repelle, ma incontrerei subito sia lui che Putin. Sarebbe interessante capire cosa sta passando, ora che è terrorizzato. Mi spaventano molto anche sua figlia e suo marito, non dobbiamo illuderci che il peggio sia alle nostre spalle".
I prossimi impegni?
"Stiamo preparando i numeri 20 e 21 di Hunger: il primo guarderà al passato perché fotograferò alcune star incontrate nell'ultimo decennio, mentre il secondo ospiterà solo giovani che hanno meno di 21 anni. Nella moda non si guarda mai al passato, si pensa a ciò che avviene oggi, ma leggo e studio la storia perché può darci delle indicazioni per il futuro. Come società ripetiamo sempre gli stessi errori perché ci concentriamo sul presente, mentre dovremmo tenere gli occhi aperti e curarci, per esempio, di come trattiamo l'ambiente".
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