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Martin Gore: faccio musica che capisce anche una scimmia

Oltre cento milioni di dischi venduti in tutto il mondo, decine di brani entrati nel canzoniere dei classici, il nome stampato per sempre nella Rock and Roll Hall of Fame, ma tutto ebbe inizio con un grande trauma. I Depeche Mode avevano appena conquistato la loro prima top ten con I Just Can't Get Enough, era il 1981, per la band britannica il primo passo di una carriera gloriosa. Che rischiò di interrompersi subito perché l'autore delle canzoni e fondatore Vince Clarke all'improvviso decise di lasciare il gruppo. Un momento di smarrimento e poi tutti si voltarono indicando un ragazzetto poco più che ventenne con un indomabile ciuffo riccio biondo. Dipendeva tutto da lui: Martin Lee Gore, taciturno ragazzo di Basildon, Essex, figlio di un militare afroamericano di stanza nel Regno Unito, della cui esistenza la madre lo aveva tenuto all'oscuro fino a 13 anni. Martin si rimboccò le maniche, prese le redini del gruppo e successo dopo successo – Enjoy the Silence, Personal Jesus, Never Let Me Down Again – lo portò nell'olimpo del rock e dell'elettronica. "Essì, le cose sarebbero potute andare molto diversamente" commenta oggi Gore, "Clarke era il compositore principale del gruppo e se non fosse andato via non sarei stato costretto a prendere il suo posto. Saremmo stati una band molto, molto diversa".

Quarant'anni dopo. La carriera di Martin Gore, questa volta in veste solista, in attesa di tornare con i Depeche Mode, riparte da un urlo. Il luogo è lo studio di registrazione a Santa Barbara, California, dove si è trasferito ormai vent'anni fa. "Ho iniziato a registrare alcune voci e a filtrarle con i sintetizzatori. Sembravano urla umane, ma non troppo. Quindi ho pensato: ok, forse appartengono a un primate diverso. E così ho deciso di intitolare il brano Howler (le Howler monkeys sono le scimmie urlatrici, ndr)".

E da lì è nato l'Ep The Third Chimpanzee, in uscita il 29 gennaio.
"Sì, lavorando sulla seconda traccia ho deciso di spingere quell'effetto. Ed è diventato il concept dell'intero progetto. Così ho dato a tutte le tracce un nome diverso di scimmia: mandrillo, cappuccina, cercopiteco verde. Quando è arrivato il momento di intitolare l'Ep mi sono ricordato di aver letto durante gli anni 90 il libro Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate Homo sapiens di Jared Diamond. Mi piaceva l'idea di mescolare i confini tra le scimmie e gli uomini. E quindi ho deciso anche di affidare la copertina a una vera scimmia".

Ovvero Pockets Warhol, scimmia cappuccina del santuario di Sunderland, Ontario, una piccola star del pennello.
"Una sera ero a letto e all'improvviso mi sono ricordato di aver sentito che esistono scimmie che dipingono. Quindi ho iniziato a googlare finché non ho scoperto Pockets Warhol. Ho scritto un'email al centro dove vive spiegando il progetto e non avevo assolutamente idea di come avrebbero reagito. Hanno risposto immediatamente dicendo che erano entusiasti. E io più di loro".

Tra l'altro Pockets Warhol è molto attivo sui social network, Instagram, Facebook… Lei invece li evita come la peste.
"Cerco di evitarli il più possibile. Sarebbe bello andare indietro nel tempo e liberarsi di Internet. Certo, lo uso in continuazione, ma credo che il mondo sarebbe migliore senza".

Perché?

"Credo che sia la causa di molti problemi del mondo. E il motivo per cui il Pianeta è così diviso".

Parlava di suoni non umani, sembra una colonna sonora di un Morricone tra scienza e fantascienza.
"Credo non esista un solo musicista al mondo che non sia stato influenzato da Morricone. E di sicuro anche io. Mi succede soprattutto quando lavoro a tracce strumentali. In qualche modo il brano intitolato Capuchin sembra un piccolo western".

Perché un Ep e non un album intero? In questi anni l'industria musicale è cambiata molto: ha ancora senso pensare in termini di album?
"Un album sembra diventato un impegno enorme per molti. Le vendite non sono più fondamentali per le band, soprattutto quelle agli esordi, non si fanno più soldi così. Si fanno più con i concerti, e a me in questo periodo manca il rapporto con il pubblico più che l'idea di suonare in una grande arena o in uno stadio. Però è un peccato che il formato album passi in secondo piano perché secondo me è una dichiarazione artistica importante. Ma non so, forse bisogna accettare che le cose cambino. Probabilmente sto ragionando come un vecchietto".

A proposito di stadi, l'Italia è uno dei Paesi che amano di più i Depeche Mode.
"Abbiamo sempre passato momenti memorabili in Italia. Quando lo racconto ai miei amici, sono sempre tutti sorpresi, ma ogni volta che abbiamo suonato in Italia le persone accampate fuori dal nostro hotel erano sempre di gran lunga più numerose che in tutti gli altri Paesi toccati dai tour".

Senza Depeche Mode le sue prime mosse da solista sono state dedicate al progetto "Counterfeit", in cui cantava brani altrui, da Brian Eno a John Lennon. Perché ha cambiato idea ora?
"Avevo pensato di portarlo avanti, e magari un giorno lo farò, però stavolta l'ispirazione mi ha portato altrove. E non ho potuto far altro che seguirla. Ma ci sono decine di canzoni che canterei".

Il trauma dell'inizio della storia della band si è ricucito nel 2012 quando è tornato a lavorare con Vince Clarke per un album di elettronica.
"Sì, non me lo aspettavo. Vince mi ha contatto all'improvviso per email dicendo: 'Sto lavorando a un album techno, ti andrebbe di collaborare?'. E gli ho risposto di sì. A dire la verità non eravamo rimasti molto in contatto negli anni, mi ha davvero sorpreso. Lo avevo incontrato ogni tanto, magari cenavamo insieme quando passavo a New York, dove vive lui, ma non spesso".

Lo scorso mese erano 40 anni esatti dal primo brano pubblicato dai Depeche Mode.
"Sì, avevamo iniziato a suonare insieme nel marzo 1980, poi Dave Gahan è entrato nella band qualche mese dopo, a dicembre abbiamo pubblicato il primo brano. Quindi sì, sono 40 anni".

E neanche un festeggiamento?
"E come? Viviamo tutti in diverse parti del globo. Non salgo certo su un aereo in questo periodo! Forse potremmo festeggiare tutti insieme in sogno".

Quindi che dobbiamo aspettarci?
"E chi lo sa. Vediamo cosa succede e poi potremo prendere delle decisioni. Intanto ci siamo liberati di Trump. Biden non potrà fare peggio di sicuro. La situazione dei contagi non è mai stata sotto controllo negli Stati Uniti. Ora mi preoccupa soprattutto la distribuzione dei vaccini, vediamo quando toccheranno anche ai comuni cittadini. Per fortuna io lavoro almeno cinque giorni a settimana. Vado in studio, un giorno sono ispirato, un altro no. Ma mi obbligo a fare qualcosa. Se non avessi fatto così sarei finito in un ospedale psichiatrico".

Sul Venerdì del 22 gennaio 2021

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