A 21 anni di distanza dalla pubblicazione del Canzoniere della morte nella collana bianca Einaudi è finalmente possibile leggere tutta (o quasi tutta) la produzione poetica di Salvatore Toma nel volume Poesie ( 1970 – 1983) edito da Musicaos a cura di Luciano Pagano e con interventi di Benedetta Maria Ala, Lorenzo Antonazzo, Annalucia Cudazzo e Simone Giorgio. Toma si spense il 17 marzo 1987 all’ospedale di Gagliano del Capo. Aveva 35 anni. La prematura scomparsa del poeta alimentò intorno alla sua figura un’aura di leggenda che egli stesso, con i suoi comportamenti stravaganti, la sua anarchia, il suo isolamento in un bosco di querce, aveva contribuito a creare. Per lui fu immediatamente riproposta la vecchia formula del "poeta maledetto". Insomma, una sorta di Tristan Corbière in motorino per le strade di Maglie, un beffardo Rimbaud del Salento che periodicamente inviava strampalate richieste di iscrizione ai Lions del suo paese o cartoline di insulti ad alcuni famosi poeti di Milano che per lui erano gli emblemi del potere editoriale.
Nel 1980 Maria Corti riuscì a fargli pubblicare 5 poesie sulla rivista "Alfabeta" e poi, una sera a Maglie, si impegnò a scrivere qualcosa su Forse ci siamo (l’ultimo libro pubblicato in vita dal poeta). Ma il tempo passava e della recensione non si vedeva neppure l’ombra. Così, nel 1985, alla morte di Italo Calvino, quando Toma lesse su Repubblica un pezzo di Maria Corti che commemorava il grande scrittore scomparso, dall’ufficio postale di Maglie partì una cartolina: "Adesso so che devo fare per meritare la sua presentazione: comincerò a passare col rosso". Come molti hanno sottolineato, tutta l’opera di Toma è attraversata dall’idea della morte.
Memorabile è un suo testo del 1979 intitolato Ultima lettera di un suicida modello: " A questo punto / cercate di non rompermi i coglioni / anche da morto. / È un innato modo di fare / questo mio non accettare / di esistere. / Non state a riesumarmi dunque / con la forza delle vostre certezze / o piuttosto a giustificarvi / che chi s’ammazza è un vigliacco: / a creare progettare ed approvare / la propria morte ci vuole coraggio! / Ci vuole il tempo / che a voi fa paura. / Farsi fuori è un modo di vivere / finalmente a modo proprio / a modo vero. / Perciò non state ad inventarvi / fandonie psicologiche / sul mio conto o crisi esistenziali / da manie di persecuzione / per motivi di comodo / e di non colpevolezza. / Ci rivedremo / ci rivedremo senz’altro / e ne riparleremo… / Addio bastardi maledetti /vermi immondi / addio noiosi assassini".
Non si pensi però che Toma sia soltanto il poeta della morte. Egli è anche il poeta dell’amore, della natura, del sogno, della libertà. Uno dei grandi meriti di Poesie ( 1970 – 1983) è proprio quello di ampliare il campo visuale per fornire ai lettori di oggi, al di là di ogni mitizzazione del personaggio, una lettura più precisa e articolata rispetto a quella, pur encomiabile e generosa, fornita da Maria Corti, curatrice del Canzoniere della morte. Si può scoprire così che Toma è anche un poeta giocoso, vitale, ironico, sarcastico, surreale. A volte, incredibilmente, persino un poeta comico.
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