Ritardi nella consegna, pasticci linguistici sulle fiale o sulle dosi, incomprensioni sulle siringhe ed errori a metà strada tra dolo e buona fede, così è che l’Italia avrà per il momento meno vaccini di quanto era stato messo nel conto, e l’intero piano di somministrazione ipotizzato dal governo dovrà essere rivisto. Mentre il commissario Arcuri e la stessa Europa cercano le strade legali contro Pfizer e Astra Zeneca per avere in fretta il vaccino anti Covid, resta che Covid ha squadernato una grave inefficienze del sistema produttivo italiano. Perché, è la domanda: può un paese permettersi di dipendere, per le sue politiche sanitarie, da una o più multinazionali? In realtà il problema era evidente già diversi mesi fa: in occasione della prima ondata pandemica erano stati in molti a sottolineare come fosse alto il rischio di restare senza farmaci fondamentali nelle terapie intensive, tra antinfiammatori, sedativi e curari. Ovviamente no.
Covid, dal paracetamolo all'ibuprofene scarseggiano i farmaci
di
Elisa Manacorda
Tutti medicinali che arrivano principalmente da Cina e India, paesi che del resto ne avevano bisogno quanto noi, e che improvvisamente si sono trovati a dover fare i conti con richieste massicciamente superiori all’atteso e con un mercato nazionale sterminato da dover soddisfare con altrettanta urgenza. Così in Europa – e in Italia – il campanello di allarme è suonato forte e chiaro. Tanto da indurre diversi portatori di interesse a unire le forze e a ipotizzare soluzioni per porre rimedio a questa fragilità strutturale. Un esempio è quello messo in piedi dal Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita Alisei, che in collaborazione con Farmindustria, Egualia (che riunisce le aziende produttrici di generici) e Federchimica Aschimfarma, aziende dei principi attivi, ha presentato un progetto di ampliamento e modernizzazione di impianti per la produzione sia di farmaci che di principi attivi, sulla base di una mappatura delle capacità produttive esistenti in Italia, da inserire nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Obiettivo: autonomia. Ovvero evitare di svegliarsi un giorno senza farmaci essenziali perché il produttore li ha già venduti altrove. “L’Italia non può sprecare l’opportunità storica rappresentata dal Next Generation EU e deve presentare progetti d’investimento che garantiscano davvero crescita e nuova occupazione”, dice infatti Diana Bracco, Presidente di Alisei. Per questo, continua Bracco, abbiamo messo a punto un’importante iniziativa di sviluppo industriale, che mira a potenziare la produzione in Italia di farmaci e principi attivi farmaceutici e contribuisce a rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa in un settore così importante per la salute dei cittadini.
Il nome è nuovo – reshoring – ma il concetto ha qualcosa di antico. Non si vuole qui parlare di autarchia, che suona brutto e politicamente scorretto, ma il senso è un po’ quello. “Diciamo che si tratta di individuare delle filiere strategiche e metterle in sicurezza, come del resto stanno facendo altri paesi. L’Italia deve muoversi nella stessa direzione”, spiega per esempio Paola Testori Coggi, biologa con diversi incarichi istituzionali alle spalle e oggi special advisor del cluster Alisei, nonché coordinatrice del Progetto per il reshoring di farmaci e principi attivi farmaceutici in Italia. Dobbiamo insomma ridurre la dipendenza dalle importazioni in un settore vitale quale quello farmaceutico. In Francia, che sul tema della protezione nazionale non è mai stata seconda a nessuno, il piano si chiama France Relance: 720 milioni di euro per la rilocalizzazione e il potenziamento sul territorio francese di attività produttive strategiche quali quelle farmaceutiche (ma non solo quelle). Oltralpe uno dei volti del reshoring è quello di Euroapi, una nuova azienda – la più grande a livello europeo – sotto il cappello della multinazionale Sanofi, destinata a sviluppare, produrre e vendere principi attivi farmaceutici: sede rigorosamente in Francia, 3200 addetti, un mercato di riferimento non solo europeo ma mondiale, un portfolio di circa 200 molecole e circa 1 miliardo di euro di vendite previste entro il 2022. D’altra parte il colosso francese era stato chiaro, quando nel febbraio 2020 aveva annunciato di voler creare una nuova realtà indipendente per affiancare e integrare la produzione dei suoi principi attivi nelle sei filiali deputate (Brindisi-Italia, Francoforte-Germania, Haverhill-Regno Unito, St. Aubin les Elbeuf-Francia, Újpest-Ungheria e Vertolaye-Francia). Detto fatto.
Nella stessa direzione si sta muovendo l’Austria: il governo ha annunciato un accordo con Sandoz (il ramo dei farmaci generici di Novartis) per aumentare la produzione di antibiotici nel sito di Kundl. La farmaceutica ci metterà 100 milioni di euro, il governo austriaco altri 50, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie di produzione sia per i principi attivi che per i prodotti finali. In cambio degli aiuti statali, Sandoz ha promesso di impegnarsi nella produzione europea di penicillina per i prossimi 10 anni, nonostante la feroce concorrenza sui prezzi, in particolare da parte della Cina.
Anche per gli Stati Uniti di Biden il reshoring è una priorità: entro 180 giorni, recita l’Executive Order on a Sustainable Public Health Supply Chain (uno dei primi documenti usciti a firma del neopresidente democratico) è necessario individuare una strategia per progettare, costruire e mantenere la capacità di produrre negli Stati Uniti tutto ciò che serve per contrastare future pandemie e minacce biologiche. Da questa parte dell’Oceano, invece, proprio lo scorso ottobre il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a “identificare le dipendenze strategiche, in particolare negli ecosistemi industriali più sensibili come per la salute, e a proporre misure per ridurre tali dipendenze, anche diversificando la produzione e le catene di approvvigionamento, garantendo lo stoccaggio strategico e promuovendo la produzione e investimenti in Europa”. Un reshoring di ampio respiro insomma. Del resto l’Italia esporta l’85 per cento di quello che produce nel settore farmaceutico, dunque il potenziamento previsto dal progetto implicherebbe l’immissione dei prodotti sul vasto mercato dell’Unione. E investendo nel settore, il nostro paese potrebbe anche recuperare parte di quella grandezza nella chimica che si è andata perdendo nei decenni, a causa della delocalizzazione prima nei paesi dell’est europeo, e poi per l’ingresso in forze sul mercato di Cina e India, che grazie massicci investimenti statali e a una legislazione assai meno restrittiva sul piano ambientale e dei diritti dei lavoratori hanno potuto ridurre al minimo i costi di produzione.
Il punto di partenza del progetto, continua Testori Coggi, è stato l’esame del mercato dei farmaci e dei principi attivi europei, con l’obiettivo di individuare i prodotti per i quali c’era una insufficiente produzione nei paesi dell’Unione. Lavoro complesso, perché non è facile ricostruire, per ogni farmaco, la parte importata e quella prodotta “in casa”. In linea di massima, però, sappiamo che per una serie di principi attivi circa l’80 per cento è prodotto fuori dall’Europa. Dunque sulla base della lista di carenze (aggiornata sia dall’Ema che dall’Aifa) sono stati identificati quelli sui quali concentrarsi. Analizzando le capacità produttive italiane, è risultato evidente come saremmo in grado di produrre tutti i principi attivi, anche grazie alle antiche radici dell’industria chimica nazionale.
Quello di Alisei è un progetto di filiera nel vero senso della parola, ed è un grande successo – continua Testori – aver raccolto l’adesione delle principali associazioni di categoria del settore. Sono queste che hanno sollecitato negli associati l’interesse a partecipare, così che ciascuna azienda ha poi presentato il suo progetto esecutivo. Oggi si contano oltre 60 possibili ristrutturazioni o nuovi impianti distribuiti al Nord, al Centro e al Sud, con un potenziale occupazionale di 11 mila addetti in più, e un impegno di spesa da parte dei privati di circa 1 miliardo e mezzo di euro, a fronte di una parte di finanziamento pubblico e di altre misure di sostegno.
Negli interlocutori governativi (Ministero della Salute e dello Sviluppo economico) l’interesse non manca. Ma, conclude Testori Coggi, è importante che si lavori anche sul piano delle procedure di autorizzazione. La realizzazione e la messa in funzione degli impianti in tempi stabiliti e rapidi, così come la sostenibilità di medio-lungo periodo dell’investimento, saranno fattori cruciali per il successo del progetto, quindi si dovrà garantire che la rapidità delle procedure autorizzative rappresenti un fattore competitivo. “Ciascun impianto, nuovo o riconvertito, così come ogni cambiamento, di processo o di sourcing, deve essere sottoposto a verifica e autorizzazione. In mancanza di autorizzazioni veloci rischiamo di perdere tempo prezioso”.
Velocizzazione delel procedure di autorizzazione. Si tratta di impianti che devono essere autorizzati uno per uno, anche un cambiamento di processo deve essere autorizzato, di sourcing, quindi deve essere accompagnato da un fast track autorizzativo. Un progetto pubblico-provato, il valore global
Noi siamo partiti – è da giugno che ci lavoriamo – ad esaminare il mercato dei principi attivi europei, a vedere quali erano i prodotti per i quali c’era una insufficiente produzione europea. Lavoro complesso, perché non si riesce a sapere per ogni farmaco qual è la parte importata e quale quella prodotta in europa perché la filiera del farmaco è cmplicata. Molti fanno solo farmaci finiti e comprano principi attivi, e li comprano dve li trovano a seconda dei prezzi. Quindi è difficile avere una mappa, non ce l’ha neanche la commissione europea il quadro esatto di quanto noi importiamo per ogni principio attivo. Però ci sono die valori, noi sappiamo che per una serie di principi attivi circa l’80 per cento è prpdotto fuori dall’europa, quindi sulla base della lista di carenze (mantenuta sia dall’ema che dall’aifa) abbiamo identificato quelli che manano e abbiamo vistoq ualie rano le capacità produttive italiane, e abbiamo scoperto che noi saremmo in grado di produrre tutti i principi attivi, perché li facevano, avevamo una grande industria chimica.
Perché l’abbiamo persa? Perché cina e india hanno investito massivamente nella chimica, anche loro con aiuti di stato. E poi perché le nostre legislazioni ambientali soprattutto e del lavoro hanno fatto aumentare ic osti di produzione. La chimica fine purtroppo l’abbiamo dislocata, prima romania e bulgaria, poi cina e india. Settore dove i margini sono stretti, qui parliamo di generici, mica di farmaci monoclonali.
Nelel filiere strategiche devi avere una certa autonomia. I francesi hanno identificato 5 o 6 settori strategici, mica solo quello dei farmaco, e hanno detto questi sono settori nei quali non possiamo dipendere esclusivamente dall’estero. Oggi sei 80 per cento, più in là diventeremo 100 per cento. Acqua, er esempio,
mantenere l’autonomia mantenendo un mercato aperto, commercio equo.
Noi abbiamo due interlocutori, ministero salute e sviluppo economico. Salute sempre accolto, nell’ottica della resilienza. Aperti. Il nostro è un piano di sviluppo industriale. D’altra parte nel testo del recovery fund il tema è affrontato.
Velocizzazione delel procedure di autorizzazione. Si tratta di impianti che devono essere autorizzati uno per uno, anche un cambiamento di processo deve essere autorizzato, di sourcing, quindi deve essere accompagnato da un fast track autorizzativo. Un progetto pubblico-provato, il valore global dell’investimento è un miliardoe mezzo, ora comincia la discussione su quale possa essere la forma migliore, ma 80 per cento privato e 20 pubblico. Ci sono nuovi impianti e rimettere a posto i vecchi, almeno metà sono nuovi.
Cluster: perché così abbiamo fatto laorare la filiera insieme, perché qui si parla di associazioni che potrebbero essere concorrenti (farmindustria e egualia), è un vero progetto di filiera, facciamo lavorare tutti insieme. Non ce ne sono tante di filiere che sono
Circa 80 impianti (40 aziende), sono tanti con nome e cognome, cosa vogliamo fare, noi abbiamo i progetti esecutivi.
Non sono aziende italiane, sono anche multinazionali con sede in Italia. Non sono tutte. Ci sono quelel che hanno deciso di farlo. Io ho 88 schede di impianti, ciascuna con nome, indirizzo, quanto costa eccetera. Che presenta il progetto esecutivo. Più di 60 progetti impianto per impianto.
Reshoring di farmaci e ingredienti attivi farmaceutici
La competitività della filiera farmaceutica al centro della ripresa italiana
L’abbiamo scoperto durante la prima ondata della pandemia ma lo sapevamo già da tempo: aumentare l’indipendenza per le forniture di prodotti sanitari è strategico per lo sviluppo di tutta l’Unione Europea, che deve ancor di più rafforzarsi verso le altre macro aree mondiali, quali Cina, India, USA. E questo anche se l’industria farmaceutica continua a dimostrarsi uno dei settori di forza dell’industria in Italia, sia nella produzione di medicinali che in quella dei principi attivi. Il made in Italy può competere a livello globale e con nuovi investimenti. L’Italia infatti potrebbe potenziare e portare nel territorio europeo la produzione di farmaci e principi attivi farmaceutici, sia nuovi sia quelli che oggi sono prodotti totalmente o in larga parte al di fuori dei confini UE (reshoring), e quindi contribuire alla resilienza del nostro sistema sanitario e all’autonomia strategica dell’Europa.
Il Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita Alisei sta lavorando in questo senso con Farmindustria, Egualia e Federchimica Aschimfarma, con un progetto da inserire nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Si tratta di un progetto di ampliamento e modernizzazione di impianti per la produzione sia di farmaci che di principi attivi, sulla base di una mappatura delle capacità produttive esistenti in Italia, delle potenzialità di nuove attività produttive e delle possibili carenze a livello nazionale ed europeo. Gli investimenti servirebbero oltre che per potenziare la produzione (in termini quantitativi e qualitativi) anche per innovare i processi produttivi, in termini di ottimizzazione dei processi e riduzione dell’impatto ambientale, rispondendo quindi anche alle priorità ambientali del piano Next Generation UE.
Sono tante le aziende della filiera farmaceutica in Italia che hanno aderito al progetto, con oltre 60 possibili progetti distribuiti al Nord, al Centro e al Sud, e sono pronte a investire rapidamente circa 1,5 miliardi di euro, con un potenziale occupazionale di 11 mila addetti complessivamente in più, a fronte di una parte di finanziamento pubblico e di altre misure di sostegno. Gli interventi per l’ampliamento di impianti esistenti e la creazione di nuovi impianti mirano ad aumentare il potenziale di crescita delle aziende ed i posti di lavoro: l’industria farmaceutica è il comparto che negli ultimi 5 anni ha incrementato più di tutti l’occupazione nel Paese. Da una indagine condotta nello svolgimento del progetto, è risultato anche che l’industria farmaceutica in Italia ha la più alta presenza di competenze e tecnologie tra i Paesi europei per la produzione di medicinali e principi attivi di maggiore consumo.
Questo progetto di investimento può rafforzare ulteriormente la competitività della nostra filiera farmaceutica a fronte di una concorrenza a livello globale sempre più agguerrita a causa dei considerevoli programmi di sostegno che altri paesi hanno messo in campo per la loro industria nazionale. A titolo di esempio la Francia nel piano France Relance ha dedicato 720 milioni di Euro per la relocalizzazione ed il potenziamento sul territorio francese di attività produttive strategiche quali quelle farmaceutiche.
Da sottolineare che la realizzazione e la messa in funzione degli impianti in tempi stabiliti e rapidi, così come la sostenibilità di medio-lungo periodo dell’investimento, saranno fattori cruciali per il successo del progetto, quindi si dovrà garantire che la rapidità delle procedure autorizzative rappresenti un fattore competitivo nella fase di attuazione degli investimenti insieme a una gestione della spesa compatibile con la crescita delle Aziende.
“L’Italia non può sprecare l’opportunità storica rappresentata dal Next Generation EU e deve presentare progetti d’investimento che garantiscano davvero crescita e nuova occupazione”, afferma Diana Bracco, Presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita Alisei. “A questo riguardo abbiamo messo a punto come Cluster Alisei un importante iniziativa di sviluppo industriale, che mira a potenziare la produzione in Italia di farmaci e principi attivi farmaceutici e contribuisce a rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa in un settore così importante per la salute dei cittadini. Il nostro progetto, che avrebbe un positivo impatto occupazionale si inserisce perfettamente nelle priorità europee. I rischi derivanti dalla mancanza di un’autonomia europea nella produzione dei medicinali sono stati sottolineati dalla Strategia Europea per i farmaci adottata in autunno dalla Commissione Europea e sono l’oggetto di una Risoluzione della Commissione Ambiente e Salute pubblica del Parlamento Europeo”.
“L’esperienza del COVID19 – precisa Massimo Scaccabarozzi, Presidente Farmindustria – conferma la strategicità dell’industria farmaceutica. Le imprese del farmaco hanno piani di investimenti aggiuntivi per oltre 4 miliardi in tre anni, dei quali 1,5 in produzione di farmaci sia nuovi, sia di uso consolidato. Progetti attuabili rapidamente e che prevedono partnership pubblico-privato, aumento dell’occupazione, nuovi profili professionali, uso del digitale, sostenibilità ambientale. Il PNRR intende potenziare le filiere strategiche e innovative e la farmaceutica è certamente tra queste. Per questo crediamo che gli strumenti attuativi del #NextGenerationItaly debbano dare il giusto spazio alla farmaceutica e siamo pronti a lavorare con le Istituzioni per la crescita del Paese.”
“L’obiettivo – ha commentato Enrique Häusermann, Presidente Egualia – è rendere la nostra industria capace di competere ad armi pari con i grandi hub produttivi extra-europei. I progetti approntati dalle nostre aziende, fortemente tarati sulle tecnologie in chiave Industria 4.0. e orientati sia all’upgrading di impianti esistenti che alla costruzione di nuovi siti, per un totale di oltre 250 milioni di potenziali progetti di investimento, vanno esattamente in questa direzione”.
“Federchimica Aschimfarma, in rappresentanza dei produttori italiani di principi attivi farmaceutici – ha aggiunto Paolo Russolo Presidente dell’associazione- è pronta a partecipare attivamente al progetto e ritiene importante, per il successo dell’iniziativa, l’identificazione, da parte delle Agenzie europee, dei principi attivi su cui produttori ed enti regolatori debbano concentrarsi efficacemente”.
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