“La musica è una cosa seria, le parole, tutte, hanno un peso e non è affatto poco determinante il messaggio che, attraverso l’arte, raggiunge le nostre case e i nostri giovani”. Mentre la politica calabrese tace, dalla Puglia arriva una condanna ferma per le “performance” Teresa Merante, cantante folk calabrese che ha “preso in prestito” la melodia di uno dei brani più conosciuti e amati della tradizione popolare Salentina, “Lu rusciu te lu mare”, per fare gli auguri di buon anno a latitanti, mafiosi e boss.
“La musica può fare di un’anima devastata una cattedrale, oppure, di una cattedrale un’anima devastata, e gli sforzi di chi ogni giorno prova a raccontare con la propria musica una storia migliore non meritano di essere sporcati dalla mancanza di buon senso di pochi” tuona su facebook la presidente del Consiglio regionale pugliese, Loredana Capone. “Viva la musica, il suo potere di raccontare popoli ed emozioni, e viva – sottolinea – chi nella vita sceglie di rispettare la legge e lo Stato per amore di sé stesso e degli altri”.
Finita al centro della bufera, la folk singer calabrese risponde con un video sulla sua pagina facebook. “Non accetto di essere etichettata come la cantante della malavita in Calabria” dice Merante, che oltre alla hit con cui augura buon anno “a tutti i carcerati che nelle galere siete segregati. Speriamo torniate in libertà, nelle vostre case gioia e serenità” vanta in repertorio brani come “U latitanti” (Il latitante), “Malandrini cunfinati” (Uomini dei clan in carcere), “L’omu d’onori” (L’uomo d’onore) e “Il Capo dei capi” (Il Capo dei capi) “Pentiti e ‘nfamità” (Pentiti e infamità).
“Le mie interpretazioni in musica – sostiene di fronte alla cam, mentre l’occhio le scappa spesso sul testo che lei o altri hanno preparato allo scopo e legge in maniera non poi così disinvolta -sono state canzoni d’amore, d’aggregazione, di allegria sulle bellezze della Calabria e anche sul canto di malavita che fa parte della trazione popolare calabrese fin dagli anni Settanta”. E questo, a suo dire, basterebbe per celebrare la ‘ndrangheta e la sua narrazione come gruppo di poveri perseguitati in musica.
La hit “Bon Capudannu”? “Una buona idea per fare gli auguri ai calabresi lontani da casa come gli emigrati, gli ammalati e anche i carcerati”. Insomma, la colpa – sostiene – è tutta dei giornalisti che non ascoltano bene i brani, “e non può essere certo classificato come canto di malavita perché era stato inciso da un altro interprete una quarantina di anni fa”. Una casualità secondo Merante sarebbe stata anche la scelta di usare come location del video Nicotera e quella piazza che, in barba a buon senso e diviteti, ha visto atterrare in elicottero gli sposini imparentati con esponenti dei clan di zona. “Abbiamo visto su internet che c’era un bellissimo addobbo natalizio” dice.
E che il sindaco di Nicotera Giuseppe Marasco sia finito nella bufera per aver partecipato al videoclip, brindando con la cantante ai detenuti (di mafia)? Colpa delle “diatribe politico-giornalistiche”, afferma la cantante che però non sembra aver gradito il tentativo del primo cittadino di prendere precipitosamente le distanze da quella “performance”, sostenendo di non avere idea del testo del brano. “Magari neanche lui lo ha ascoltato tutto” dice piccata Merante, che arriva a difendere anche la sua interpretazione di “U latitante”, storia in musica della cattura di Rocco Castiglione, boss di Roccabernarda. “Non è stata scritta da me” dice a mo’ di giustificazione. E per lei, un testo che recita “noi siamo i latitanti e siamo i più potenti, spariamo con le pistole e con i fucili a canne mozze” (Nui simu i latitanti, e simu i chiù potenti Sparamu cu pistoli e cu fucili a canna muzzi) non sarebbe assolutamente un incitamento al crimine.
Per la hit “U Capu dei capi” – celebrazione in musica di Totò Riina, da lei scritta e composta – la colpa – afferma – è invece della fiction televisiva. “Ho visto la fiction e ho scritto la canzone, tutto qua” afferma, come se questo bastasse per chiarire il motivo per cui si sceglie di celebrare – stranamente in italiano – uno dei più sanguinari boss della storia italiana, cantando “tante persone lui ha ammazzato, dei pentiti non si è scordato” o “era lo sbirro il traditore, faceva l’amico e pure l’attore” per poi concludere con “due giudici gli erano contro e arrivò per loro il giorno”.
Ma la storia deve averla colpita molto perché a Riina, Merante decide di dedicare un altro pezzo “Toto u Curtu” in dialetto calabrese. Un romantico ritratto del “capo di Cosa Nostra che è in galera e ha una moglie in Sicilia a cui scrive tutti i giorni sperando di tornare presto in libertà”. Complicato con innumerevoli ergastoli sulle spalle. Questo però per la cantante sembra un dettaglio di poco conto, meglio raccontare che “all’Ucciardone (carcere di Palermo) tutti lo rispettavano”. Ma lei si dice convinta “spero di aver chiarito la mia posizione”.
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