MILANO – Monte dei Paschi al bivio della vita. Giovedì il cda è convocato per esaminare il piano di rafforzamento patrimoniale richiesto dalla Bce che vigila sulla banca, e che i banchieri senesi hanno ipotizzato in 2-2,5 miliardi di euro. Ma dietro le quinte non sembrano ancora definite le soluzioni, e l'incertezza prevale, sia per la precaria posizione del governo Conte (azionista tramite il Tesoro con il 64% dell'istituto dopo la nazionalizzazione del 2017), sia perché manca al momento l'auspicato compratore, nonostante una ricerca in corso da almeno nove mesi. La "data room", aperta lo scorso lunedì 18 gennaio per invitarvi eventuali candidati compratori e condividere dati sensibili sulla situazione prospettica dei conti Mps, sarebbe al momento ancora vuota: né ci sono segnali per cui possa entrare qualche avventore nei prossimi giorni.
Lo scarso interesse per quest'ultima iniziativa, tentata giorni fa dal Monte con i suoi consulenti finanziari Mediobanca e Credit Suisse per dare parità informativa ai potenziali compratori, e magari guadagnare un po' di tempo nel negoziato in salita con le istituzioni sovranazionali, rende più difficile giustificare una ricapitalizzazione congrua da parte dell'azionista Tesoro. Tuttavia, l'unico teorico attore interessato, l'Unicredit che dallo scorso luglio negozia informalmente con il Tesoro una cornice favorevole (circa 5 miliardi di euro di aiuti pubblici) per rilevare Mps senza conseguenze per il proprio patrimonio, è al momento piuttosto distratta: solo il 10 febbraio si dovrebbe sapere chi sarà il successore di Jean Pierre Mustier come amministratore delegato, e sembra che il cda in carica, al rinnovo nell'assemblea di aprile, sia intenzionato a non prendere nessuna decisione sulle acquisizioni fino all'avvenuta conferma da parte dei soci.
A meno di rinvii che al momento non paiono alle viste, i controllori di Francoforte esigono che il deficit patrimoniale del Monte, stimato dalla stessa banca in 300 milioni nel primo trimestre 2021 e in 1,5 miliardi a fine anno, sia colmato, come da richiesta formale del board della vigilanza europea. I rimedi operativi che ha davanti la dirigenza senese, "telecomandata" dal Tesoro cui spetta il negoziato con l'Europa, a questo punto sembrano due. Il primo è di guadagnare ancora un po' di tempo, per allineare le agende temporali di Siena e di Unicredit senza un eccessivo impiego immediato di miliardi: sul mercato giorni fa è girata l'indiscrezione di un rafforzamento patrimoniale in più tranche, con un iniziale bond subordinato tier 1 da 500 milioni seguito da una ricapitalizzazione da un miliardo in primavera, e un altro miliardo verso fine 2021.
Questa soluzione però, oltre ad avere costi e complicazioni di tipo tecnico, andrebbe fatta digerire alla Bce e alla Commissione europea cui competono le operazioni di aziende sotto aiuto di Stato, e non è detto che ciò sia facile nel clima l'attuale. L'alternativa più drastica è un aumento di capitale immediato, per risolvere definitivamente i problemi della banca: ma il Tesoro vorrebbe intraprenderla solo se ha la ragionevole certezza che un'aggregazione sia alle viste. Per questo nelle ultime ore risulta che i segnali dell'azionista pubblico nei confronti di qualunque possibile compratore del Monte, a partire dall'Unicredit, stiano tornando a crescere.
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