Il titolo dell’album porta solo il suo nome d’arte, Filo Vals, che suona leggermente esotico, ha uno strano sapore internazionale, come se fosse nato altrove o venisse da qualche paese lontano e sconosciuto. Un titolo che fa da carta d’identità, anche, per questo venticinquenne cantautore che arriva da Roma ma che, proprio come indica il nome d’arte, è un cittadino del mondo. Per presentarsi ha preparato undici canzoni, nelle quali il mondo viene visto attraverso un caleidoscopio, canzoni che mettono insieme generi, stili, suoni, emozioni e storie diverse, che si intrecciano e compongono immagini coloratissime. Undici brani che propongono al nostro ascolto un mondo sempre diverso ma nel quale si riconosce lo schema creativo, leggero e audace, di un cantautore che sembra considerare il pop sia un’arte che un modo di interpretare la vita. Originale lo è di sicuro, dunque, perché mette insieme non solo rock, pop, soul, bossa nova, reggae, ma anche (con una buona dose di coraggio) anche lingue diverse. E non è solo la classica canzone in inglese che può sembrare l’espediente minimo per arrivare, magari, a circolare su Spotify anche fuori dai confini italiani, ma anche brani in francese e in spagnolo. E nulla, in questo gioco di viaggi interiori ed esteriori, sembra forzato, studiato a tavolino, calcolato per fare effetto, tutto è naturale, magicamente apolide, e piacevolissimo.
E’ un disco di viaggio, dunque, nel mondo e nel tempo, perché Vals non sembra essere particolarmente appassionato alle mode correnti, vive la contemporaneità senza restrizioni, pesca a piene mani dal passato come dal futuro per scrivere canzoni che possano in qualche maniera assomigliargli, un po’ come il titolo dell’album, che porta solo e soltanto il suo nome, “come facevano i cantautori del passato”, dice sorridendo, “quelli per i quali era l’artista a dare importanza al progetto. In fondo mi piaceva l’idea di dire ‘questo sono io’, che il titolo non fosse quello di una sola canzone ma di un album intero, che si capisse che di cose, dentro, ce ne sono tante, diverse e da scoprire”.
Già, ma chi è Filo Vals? “Ah beh, non saprei dire chi è Filippo, figurarsi Filo. Di certo posso dire che questo mio alter ego è un artista a cui piace giocare, sperimentare, esplorare vari mondi sonori e condirli con diverse lingue, un’artista europeo che nel suo piccolissimo vuole provare a far capire che un’identità europea esiste, che tanti ragazzi già la vivono da molti anni, e che trascende quella di istituzioni e politica”. Filo è giovane, ma frequenta la musica da sempre, “da quando in macchina ascoltavo i miei genitori divertirsi con i Beatles e i Rolling Stones. Diciamo che l’imprinting è stato quello, sono dunque diventato ‘internazionale’ per educazione, ho sempre avuto un orizzonte che guardava oltre i confini italiani. Ma, al di la degli ascolti familiari, io faccio parte di una generazione che è cresciuta con Spotify, senza i CD, e sulle piattaforme non ci sono confini, puoi curiosare da qualsiasi parte, incappi per caso in una sonorità e la segui scoprendo altre cose, magari ascolti un brano in francese e ne cerchi altri. Diciamo che è il suono ad avermi portato verso altri linguaggi e altre culture e che scoprire generi diversi, colori diversi, lingue diverse, mi ha sempre affascinato”.
Da qui a scrivere in quattro lingue diverse le proprie canzoni comunque ce ne passa? “Non tanto, a dire il vero”, sottolinea Vals, “perché è il suono a portarti naturalmente verso una lingua o un’altra e verso una certa storia. ‘Au loin’, ad esempio, è nata su un giro di accordi particolare, una bossa leggera, mi piaceva l’idea che fosse una sorta di Garota di Ipanema, ambientata a Parigi, su una ragazza che seguivo con gli occhi, ed è stato naturale fosse cantata in francese, aveva senso così”. Il viaggio di Vals è appena cominciato, anche se in un momento in cui non può mostrare le sue doti migliori, quelle di performer, in grado di arricchire i suoi spettacoli con aneddoti e storie divertenti e personali, e quelle di cantante, dotato di personalità e stile: “E’ un disco molto suonato, che ha bisogno di essere condiviso su un palco. Non vedo l’ora di poter tornare a fare concerti”, dice, “il primo desiderio è che questa terribile situazione finisca e che si possa tornare a vederci, a stare insieme, a vivere insieme”.
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