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Dietrofront su piatti e bicchieri di carta: non sono al 100% biodegradabili, in arrivo il divieto

Dopo essere passato al Senato e licenziato dalla Commissione Ambiente, lunedì è in calendario per l’approvazione alla Camera il disegno di legge per mettere al bando gli articoli in plastica monouso. La direttiva sulle Sup (Single use plastics) era stata licenziata dal Consiglio europeo già a maggio del 2019, mentre gli stati membri avevano due anni di tempo per legiferare in ambito nazionale. La direttiva mira a ridurre i rifiuti in mare e si basa sulla legislazione dell’Ue già esistente per limitare l’uso della plastica, stabilisce però regole più severe per prodotti e imballaggi che rientrano tra i dieci inquinanti più spesso rinvenuti sulle spiagge europee.
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In particolare, sulla base di un rapporto delle Nazioni Unite (“Biodegradable plastics and marine litter. Misconceptions, concerns and impacts on marine environments”) che già nel 2015 aveva sottolineato che l’adozione diffusa di prodotti etichettati come ‘biodegradabili’ non avrebbe ridotto in modo significativo i volumi di plastica che finiscono negli oceani, l’Ue ha messo al bando, tra gli altri, anche bicchieri e piatti in carta che andavano nel compostabile.

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La ragione di questa scelta sta nella minima parte di plastica, che ne fa un poliaccorpato, presente anche nelle stoviglie di carta per renderle impermeabili. Il rapporto Onu evidenziava che la biodegradazione completa di quel film si verifica in condizioni che raramente sussistono negli ambienti marini e che quindi le microplastiche si diffondono comunque in mare. La direttiva Sup dice infatti in modo esplicito all’art. 3 che gli unici polimeri esclusi dal suo campo di applicazione sono quelli naturali, non modificati chimicamente. Le plastiche biodegradabili e compostabili invece rientrano tra i polimeri modificati chimicamente e quindi fra i materiali vietati.
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La decisione europea e adesso il ddl italiano sono criticati dai produttori delle stoviglie di carta, un settore di eccellenza del nostro Paese. Antonio D’Amato è tra i più attivi in questo tentativo di orientare la legislazione italiana: la sua azienda, Seda Group, ha vinto il premio “Salva il pianeta” Pro Carton, l'Associazione europea dei produttori di cartone e cartoncino, ed Ecma, l'Associazione europea dei produttori di scatole in cartoncino per la realizzazione di Eco Fit Lid, un innovativo coperchio in carta per bicchieri, studiato come alternativa sostenibile ai tradizionali coperchi in plastica.
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D’Amato è anche il presidente dell’Eppa, l’alleanza europea per gli imballaggi di carta e osserva: “Anche per noi evitare le microplastiche è una priorità e le nostre aziende si impegnano per l’innovazione e lo sviluppo di soluzioni sostenibili. La scelta di puntare sulla carta deriva proprio dal fatto che è rinnovabile e riciclabile, tanto che in Europa e in particolare in Italia abbiamo già raggiunto, da questo punto di vista, gli obiettivi posti per il 2030”.

Le stoviglie di carta monouso sono più green di quelle riutilizzabili


Stoviglie di carta e tradizionali a confronto. “All’interno dell’Unione europea – continua D’Amato – questa direttiva è maturata con il confronto tra due visioni: quella di chi sostiene la decrescita felice e quella di chi, come noi, investe sul green deal per promuovere un’economia circolare. Il nostro contributo al dibattito come Eppa è stato uno studio commissionato a Ramboll, dal quale emerge che il monouso garantisce un impatto dalle tre alle quattro volte minore di qualsiasi stoviglia riutilizzabile, si tratti di plastica, ceramica, vetro o metallo. Ci basiamo su dati scientifici per manifestare la nostra contrarietà ad una interpretazione distorta della direttiva – conclude D’Amato – soprattutto in questo momento in cui la pandemia mette al primo piano la salute umana: il monouso è l’unico che garantisce una carica batteriologica nettamente inferiore a qualsiasi altro materiale”.

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Lo studio dell’azienda di consulenza danese Ramboll, che è anche consulente indipendente dell'Ue, riporta che per il consumo in loco nei servizi di ristorazione veloce, come fast food, bar sui treni o, in questi tempi di pandemia, anche i normali bar, le stoviglie riutilizzabili generano il 177% in più di emissioni di CO2, consumano il 267% in più di acqua e producono il 132% in più di particolato fine rispetto al monouso in carta. I calcoli sono fatti naturalmente sia guardando al loro utilizzo (il lavaggio, ad esempio) sia la produzione e lo smaltimento.
La decisione sulle stoviglie compostabili non coinvolge soltanto chi produce bicchieri e piatti di plastica, ma anche chi li ricicla. L’Italia è da sempre uno dei Paesi leader nel riciclo della carta, poiché è sempre stato un produttore eccellente di carta senza avere a disposizione la materia prima. Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, l’Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri, osserva: "Sono condivisibili tutte le azioni che puntano contemporaneamente a ridurre la produzione di rifiuti e aumentare la riciclabilità dei beni di consumo. La carta è un materiale altamente riciclabile e le stoviglie monouso, se correttamente conferite nella raccolta differenziata, sono avviate a riciclo. Da esse si recupera pertanto materia prima secondaria”.
“Se si restringe l’uso di alcuni beni di consumo, è opportuno che ciò avvenga nel rispetto delle direttive sull’economia circolare – conclude Sicilia -. L'obiettivo generale deve essere sempre quello di incentivare l’uso di prodotti riciclabili a fine ciclo vita”. A riprova che sulle bioplastiche e sui poliaccorpati come tassello importante dell’economia circolare stanno puntando in molti, c’è anche l’avvio, in seno al Conai, del consorzio di filiera Biorepack, destinato a raccogliere il segmento delle bioplastiche, mentre Novamont ha annunciato l'acquisizione del gruppo norvegese BioBag, che lavora negli imballaggi e nella raccolta separata del rifiuto umido. E c’è poi il settore dell’occupazione, con Filctem Cgil che ha da subito protestato per gli effetti che le misure per la riduzione della plastica avranno non soltanto sui consumatori, ma anche sui lavoratori.
Rifiuti industriali e domestici. La capacità industriale dell'Italia di riciclare è accalarata: siamo al terzo posto dopo Germania e Spagna per tasso di riciclo imballaggi di plastica e il tasso di riciclo di carta e cartone si attesta all'81%, vicino all'obiettivo dell'85% previsto dalla Ue per il 2030. Ma un conto è quanto fanno le aziende quando avviano al riciclo i rifiuti industriali, un altro quel che succede con i rifiuti domestici e l'efficienza della loro raccolta nelle diverse regioni e città. È sotto gli occhi di tutti quel che il mare lascia ad ogni mareggiata e, ancor più pericoloso è quanto nel mare resta sotto forma di microplastiche. L'intento dell'Unione europea e, fin qui, del Parlamento italiano è di ridurre il più possibile la produzione di rifiuti non completamente biodegradabili, ma nessuna misura sarà mai davvero incisiva se non rientrerà in una strategia industriale e politica complessiva che possa dirsi davvero ecosostenibile.Original Article

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