“Amo il cinema ma, quando guardo un film di Natale o una storia d’amore, non posso dire di sentirmi a casa”. Prima di diventare un’icona queer, Clea DuVall, 43 anni, era la ragazza dark che prendeva a calci una partita di baccelloni dall’altro mondo (The Faculty di Robert Rodriguez), dandosela a gambe da un reparto psichiatrico nel New England, insieme alle Ragazze interrotte Winona Ryder e Angelina Jolie, dopo aver sedotto una cheerleader coperta di vernice e PVC rosa in Gonne al bivio.
Lesbica “da sempre”, esordisce ironica quando la incontriamo. “Pur avendo scelto – sin dagli inizi della mia carriera – ruoli vicini a me e alla comunità LGBT+, non penso di aver mai avuto l’opportunità di sentirmi davvero gay nel corpo di un personaggio. Negli ultimi anni le cose son cambiate; forse perché, assieme all’industria, è cambiato anche il mondo”. Con Hollywood, dice, “la relazione è complicata”. Ci aspettano ancora parecchie battaglie. “Il cinema è il mio pane da quando avevo diciotto anni; dovrebbero esserci però più diversità e accoglienza. Io, ad esempio, do il mio contributo con una commedia romantica” prosegue.
“Passare dalla recitazione alla regia è già una sfida ma dirigere una rom-com – Non ti presento i miei (Happiest Season in originale) – e avere due fuoriclasse come Mackenzie Davis e Kristen Stewart nella parte di due lesbiche alle prese con il tradizionale pranzo in famiglia, non è cosa da poco. Ricordate una commedia queer-natalizia destinata al grande pubblico? Vi aiuto io: non c’è”.
Prima di subire il destino di tutti i film in tempo di Covid, Non ti presento i miei partiva con un discreto carico di responsabilità: fare la storia e farla dentro il sistema, col supporto di Tri-Star Pictures (Sony) e della compagnia eOne. Negli Usa le intenzioni della major sono state dirottate su Hulu e, nel giro di poco tempo, il successo di pubblico è stato tale da lasciare aperta la porta a un possibile seguito. “Mi sembra una notizia incredibile” commenta DuVall. “Se una commedia lesbica batte tutti i record e porta più iscritti alle piattaforme online, significa che d’ora in poi streamer e network possono far gruppo e sostenere nuovi, coraggiosi film a tema LGBT+”. Secondo DuVall, “il cinema queer è e sarà sempre rilevante. Non verrai mai il giorno in cui queste storie non siano rilevanti. Basti pensare al segno lasciato da autori come Todd Haynes e Gregg Araki”.
Quando siamo andati a visitarla sul set a Pittsburgh, ci aveva detto di aver trovato una grande alleata: la co-protagonista Kristen Stewart che, negli ultimi anni, ha rigirato e fatto propri i concetti di queerness e bisessualità. “Kristen è un’artista che ho sempre ammirato” confessa. “Sul set porta un lato emotivo che molti attori spesso lasciano a casa, per paura e timidezza. L’amavo per i ruoli drammatici; dopo aver ascoltato i suoi monologhi su Saturday Night Live, mi sono detta ‘Devi lavorare con lei, è così spiritosa e umana’. Ricorda un po’ le mie comiche preferite, da Lauren Lapkus a Maya Rudolph. Mi ha aiutato a raggiungere quella fetta mainstream che ho sempre desiderato toccare, con una storia o con un personaggio. Come me, lei ha lavorato in tutti i generi di film, con tutti i budget ed è sulla scena da quando era teenager. Sappiamo che le cose nel mondo del cinema non sono del tutto a posto, ragione in più per far sentire le nostre voci e raccontare storie diverse”.
Quando era appena ventunenne, ricorda, “il lavoro mi appariva insieme affascinante e ostile, e la mia unica arma era mettere in chiaro subito chi fossi e da dove arrivassi. Mi sono scelta delle parti da ribelle non per cadere negli stereotipi ma per avviare una marcia verso il rispetto e l’accetazione di noi gay e lesbiche. La TV comedy Veep, in cui interpreto l’agente segreto che ha una storia con la figlia del presidente, mi ha dato una gran bella spinta. Oggi sono felice con la persona che amo; un tempo le domande dei giornalisti sul perché optassi per ruoli queer hanno destabilizzato parte del mio impegno nella comunità LGBT+. Un conto è combattere, un altro è sentirsi chiedere morbosamente chi e cosa ti piace”.
Quella gabbia si è spalancata piano piano, prima con il debutto alla regia nell’indie dramedy The Intervention, quattro anni fa, quando scelse di dichiarare apertamente di essere lesbica, poi con annunci come quello di Elliot Page, precedentemente noto come Ellen, che nel 2014 aveva rivelato di amare persone dello stesso sesso ed ora si definisce transgender (mandando in tilt redazioni e publicist con il corretto uso del vocabolario). “Ogni giorno la nostra comunità lotta per una giusta rappresentazione” conclude DuVall. “A 18 anni, quando ho capito che avrei voluto fare questo lavoro, non esistevano i social network e di queer avevamo forse Judy Garland e il fan club Amici di Dorothy. C’erano le chat room… Una volta chiesi aiuto a qualcuno e dall’altra mi arrivò conforto; non so chi sia quella persona, se sia ancora viva. Mi salutò dicendo: ‘Qualsiasi cosa ti accada, rimani aperta di testa’. Ed è il messaggio che vorrei lasciare al pubblico attraverso il mio cinema, oggi”.
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