Una volta funzionava così: la squadra più forte attacca, quella meno forte aspetta il contropiede giusto per colpire. Una dinamica base che ha segnato il calcio per intere ere evolutive, ma che ora non c'è più. O quantomeno, non c'è sempre, non per forza. L'Inter di Antonio Conte, ad esempio, con le squadre meno ricche e dotate tecnicamente – vedi l'Udinese di ieri – fa il gioco del serpente col topolino: le costringe a scoprirsi, le porta fuori dalla tana, e a quel punto le divora.
di
Massimo Mauro
I nerazzurri in avvio di stagione hanno tentato un gioco in stile Atalanta, con la difesa altissima, il pressing continuo e la filosofia del "farne sempre uno in più dell'avversario". I gol segnati sono arrivati, a valanga. Ma se n'è anche preso qualcuno di troppo. Allora l'ex ct – cresciuto alla pragmatica scuola lippiana del "primo non prenderle" – è corso ai ripari e ha messo a punto il suo calcio killer: lasciar giocare l'avversario, anche se meno forte (anzi soprattutto se meno forte), costringerlo a scoprirsi, e punirlo con ripartenze fulminee, schemi rodati e slanci dei giocatori migliori.
Questa Inter si nutre dello spazio alle spalle dei terzini avversari, fra i centrali di difesa, intorno ai mediani. Appena si apre un varco, ci si infilano gli incursori Lukaku, Lautaro, Hakimi, lo stesso Barella. Giocatori veloci di piede e di testa. Contropiedisti, si sarebbe detto un tempo, ma oggi non si può più altrimenti gli allenatori si offendono. Bandito il termine "contropiede" (che Fabio Capello in tv usa apposta per punzecchiare i suoi colleghi più giovani) è accettato "ripartenza". Ma quello che i tecnici di oggi amano davvero è "riaggressione", che sa tanto di Jurgen Klopp e dà l'idea che la palla prima l'avessi tu, e una volta persa l'abbia presto recuperata.
dal nostro inviato
Franco Vanni
La svolta nella trama tattica interista è stata messa a punto nei mesi. A voler cercare un giorno d'inaugurazione, si può risalire alla trasferta di Reggio Emilia col Sassuolo, vinta dalla squadra di Conte per 0-3. De Zerbi, che non rinuncerebbe a fare il suo gioco nemmeno se allenasse la Caronnese contro il Real Madrid, era la vittima perfetta. "Vieni, vieni qui De Zerbi", sembrava sibilare la squadra-cobra di Conte, più bassa di una ventina di metri rispetto a inizio stagione e pronta a ripartire (o riaggredire) fulminea con un colpo di coda. Nello stesso modo sono arrivate altre vittore. Contro lo Spezia di Italiano, un altro a cui piace giocare. Anche contro il Crotone.
Il limite dell'Inter si vede quando l'avversaria si chiude. Il primo a capirlo è stato Luis Castro, furbissimo allenatore dello Shakhtard Donetsk. Alla vigilia della gara d'andata nel girone di Champions a Kiev, a fine ottobre, dichiarò: "Faremo il nostro gioco". Invece – memore del 5-0 subito la scorsa estate in Europa League – rinunciò del tutto a giocare, schierando la difesa in linea a sei a perenne copertura dell'area. Risultato: 0-0 nonostante le molte occasioni dell'Inter. Stesso copione e stesso risultato al ritorno a San Siro. Meglio ha fatto Claudio Ranieri, maestro mondiale della fase difensiva, che a Genova ha sì modulato la squadra a protezione della porta, ma è riuscito anche a far male in contropiede (o ripartenza, o riaggressione, come volete): Sampdoria 2 – Inter 1. Ci ha provato, pur con minor brillantezza, Gotti ieri sera. Risultato, niente gol.
L'Inter è seconda in campionato a due punti dal Milan, ha il miglior attacco, e il vantaggio (doloroso per i tifosi) di non dovere giocare le coppe europee. Ad Antonio Conte la qualifica di favorita per lo scudetto fa paura, e di conseguenza spaventa molti tifosi. L'ex ct preferisce dire che i nerazzurri sono una delle sette squadre che si contendono scudetto e posti Champions. Poco cambia: se vuole ambire al titolo – al pari delle altre sei – l'Inter nel girone di ritorno dovrà conservare quello che funziona (cioè quasi tutto), migliorare quello che non va (qualche occasione di troppo sprecata sotto porta) ma soprattutto trovare il modo di scardinare le difese chiuse. Perché dopo Castro, Ranieri e Gotti, è probabile che altri imiteranno.
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