Archeologia industriale è una disciplina recente, " inventata" in Inghilterra una cinquantina di anni fa da un gruppo di appassionati e di specialisti di storia della tecnica, che aveva e ha come scopo scoprire, studiare, catalogare e — là dove possibile — conservare i resti e le testimonianze dell’attività industriale del passato. Un compito affascinante nei primi tempi, che è diventato particolarmente complesso a partire dagli ultimi decenni del secolo XX, con il declino rapido delle grandi fabbriche e di interi complessi industriali urbani o semi-urbani e il conseguente degrado fisico e sociale di intere parti di città nel mondo intero.
Nei programmi di recupero di queste aree da parte di amministrazioni locali e privati, le preoccupazioni degli archeologi industriali hanno avuto uno spazio piuttosto ridotto (con qualche clamorosa eccezione, come nel caso della Ruhr tedesca). Demoliti, svuotati, talvolta usati da architetti famosi e no come semplice spunto per ricostruzioni e manipolazioni, raramente anche in Italia i monumenti del lavoro sono oggetto di attenzione e di rispetto. Genova e la Liguria non fanno eccezione, anzi se mai si sono distinte per un particolare accanimento a far tabula rasa del loro importante passato industriale, di cui restano ormai pochi segni. Eppure, a giudicare dai risultati delle ricerche, degli studi condotti negli ultimi decenni a livello universitario e di svariate azioni in campo artistico e non solo (penso ai lavori degli "esploratori urbani" e di altri operatori culturali) il tema ha suscitato un grande interesse tra i giovani, coinvolgendoli anche dopo la laurea in svariate attività — associazioni, collaborazioni, junior enterprises — che putroppo hanno avuto nella maggior parte dei casi vita breve. Abbiamo quindi accolto con entusiasmo l’invito di Repubblica — a 10 anni di distanza da quello di Italia Nostra, che diede luogo a una mostra e a un convegno alla Commenda di Pré, quasi un anniversario! — a realizzare il ciclo di articoli Liguria industriale da riscoprire che l’anno scorso ha occupato per diversi mesi, ogni lunedì, le pagine dell’edizione genovese e che ora, in tempi record, viene raccolto in un libro da regalare al pubblico. Come ogni buona materia contemporanea che si rispetti, il ciclo ha coinciso con la polemica) sulla conservazione o demolizione dell’ultimo gasometro di Genova in Valpolcevera, che ha assunto sui social una forma particolarmente virulenta. La cosa ci ha creato un certo imbarazzo, ma anche fatto riflettere. Era uno dei temi su cui gli studenti della nostra Università e non solo hanno a lungo lavorato, progettato, e anche sognato: senza tuttavia avere la possibilità di comunicare conoscenze ed emozioni a un pubblico più ampio.
Ora che, grazie a Repubblica, un nuovo cammino si è aperto, questa pubblicazione — a cui hanno generosamente collaborato noti specialisti del settore — è dedicato soprattutto a loro. E vuole invitarci a riflettere meglio — da un lato — sul patrimonio storico- industriale ( conservato, riconvertito, perduto o a rischio) di Genova e della Liguria e — dall’altro — su un patrimonio vivo e giovane di idee, di energie e di talenti che non deve e non può andar sprecato.
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