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‘Così fan tutte’, il Mozart alla Scala risplende anche a distanza attraverso il piccolo schermo

Il suono del Così fan tutte di Mozart ha restituito al palcoscenico milanese l’opera come va fatta dopo quasi un anno di silenzio. La risposta acustica della 'sala' è la prima sorpresa della 'nuova' Scala. Non occorre essere in sala per coglierla: anche nella visione a distanza, casalinga, grazie alla squadra tecnica audio-video non fortuita di RaiCultura, fin dal primo accordo colpiscono corposità e colore dell’orchestra. Si dimentica presto l’aliena collocazione degli strumentisti sullo stesso piano del palco e le cui teste, come nelle incisioni del Settecento, ruberebbero spazio alla vista sui cantanti se ci fosse pubblico in platea.

La sostanza timbrica dell’orchestra scaligera – che "ha fatto passi da gigante in direzione della consapevolezza stilistica e della duttilità del suono" aveva anticipato il direttore Giovanni Antonini durante le prove – in formazione e disposizione sparpagliata dai protocolli sanitari, più coscienziosa che ricettiva al gesto interpretativo suggerito dal podio, si manifesta con sfarzo nell’Ouverture ma tinteggiava la lettura teatrale e musicale nel complesso. Formato dall’assiduità col repertorio e le norme esecutive del barocco, Antonini per Mozart individua una tinta narrativa sobria e coerente che equilibra i tempi del racconto, ad esempio senza eccessi di spigolosità e facili frenesie 'barockare', andando a zoomare con maggior sicurezza sulle parti dell’opera in cui la citazione-deformazione dei modi operistici dell’'opera seria' rendono 'autentiche' seppure paradossali le confessioni sentimentali, ad esempio di Fiordiligi e Ferrando. La sua interpretazione accentua la falsità credibilissima degli 'affetti' delle due coppie: il 'così fan tutti (uomini e donne, giovani e vecchi)', geniale ragione d’essere teatrale e musicale dell’ultima collaborazione tra Lorenzo Da Ponte e Mozart. Bel rilievo chiaroscurale e drammatico hanno anche i recitativi dove rifulge il lavoro sulla parola ma dalla tastiera del fortepiano di James Vaughan col violoncello di Simone Groppo. Un passo indietro rimane la componente comica, quindi soprattutto Despina con le sue pirotecniche e popolane strategie amorose, e il navigato geometrico cinismo didattico di Don Alfonso.

Allo stesso modo, rimane un divario – al di là delle difficoltà logistiche determinate dallo spazio tra chi suona e chi canta imposto dal distanziamento – tra articolazione e propulsione narrativa dell’orchestra e reattività dei cantanti. Determinando la sensazione generale di encomiabile imbastitura interpretativa più che di visione sempre convincente e condivisa. Senza imperfezioni ma come in soggezione dei rispettivi personaggi, dello spirito e della scrittura vocale mozartiana, Eleonora Buratto, Emily d’Angelo, Federica Guida, Bogdan Volkov e Alessio Arduini parevano aspettare l’imbeccata emotiva risolutrice. Mentre il navigato Piero Spagnoli e la promettente Federica Guida per ragioni diverse erano un passo indietro rispetto al ruolo decisivo di burattinai che la commedia impone. Così nei finali d’atto – nel secondo soprattutto; sovraccaricato in avvio da una prepotenza corale (i coristi erano nei palchi) esagerata per la situazione da commedia – l’euforia delle finte nozze ha ceduto spazio al patetismo smorzando sorriso e ritmi garruli. Del resto, la regia d’annata di Michael Hampe, riallestita da Lorenza Cantini con levità (e con un lodevole tentativo di gestione del rito dei ringraziamenti per applausi che non potevano esserci), non interpreta ma solo illustra; con un pennello ancora fresco per merito del segno sofisticato e rimpianto di Mauro Pagano.

Della regia televisiva di Stefania Grimaldia disposizione su RaiPlay – è piaciuta l’ariosa semplicità delle inquadrature che ha dato in più occasioni la sensazione di essere in palcoscenico e i momenti in cui lo strambo assetto dell’orchestra sopra la platea era restituito nel suo sinistro fascino. Troppo visivamente dimessa, senza post-produzione di sorta, era invece l’istruttiva conversazione dell’intervallo tra Franco Pulcini e il direttore. Se col Così fan tutte l’opera è tornata in Scala, adesso alla Scala tocca riappropriarsi senza via di mezzo dell’opera.

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