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Con le serie tv mettiamo a nudo i divi del cinema

Monica Bellucci se ne va in scooter a Parigi: cerca un muratore, un corriere, un pizzaiolo… insomma, un uomo con cui accasarsi, ma fuori dal mondo dello spettacolo. Durante il Festival di Cannes, invece, Juliette Binoche preferisce mangiare la pizza in cartone in tuta invece del caviale sulla Croisette in un ristorante stellato. È successo finora nella serie francese Chiami il mio agente!, su cui cala il sipario con la quarta e ultima stagione, ora su Netflix. Per l’occasione scende in campo persino Sigourney Weaver che — pur di ottenere una lovestory con Gaspard Ulliel in un copione — si fa trovare all’alba in un cimitero mentre seduce un baldo giovanotto.

Questi e molti altri vezzi da star sono svelati per il piccolo schermo da storie che prendono in giro l’Olimpo delle celebrità mostrandole in tutte le loro contraddizioni e, a volte, meschinità. C’è persino chi alza il tiro, come la britannica Flack, dramedy prodotta e interpretata da Anna Paquin, purtroppo ancora inedita in Italia. In questo caso il suo personaggio, Robyn, è una PR fuori di testa che deve coprire gli scandali dei clienti famosi di cui cura le “pubbliche relazioni”, da camere d’hotel ridotte a brandelli a overdose, abusi e… omicidi. «Potrei uccidere qualcuno e voi non lo sapreste mai — ha scherzato il Premio Oscar al festival Series Mania — ma la mia agente ci tiene a precisare di non aver mai pulito il sangue di una prostituta, ormai cadavere, da una camera d’albergo».

Siamo lontani dai party in piscina di Entourage o dall’ego smisurato — oltre che inversamente proporzionale al talento — di The Grinder, dove Rob Lowe si prendeva gioco dei colleghi un po’ troppo boriosi. Stavolta si supera deliberatamente il limite per mostrare che no, non solo non è tutto oro quello che luccica, ma che i divi sono forse la categoria umana meno attraente sulla faccia della terra, se conosciuti un po’ più da vicini. Come sanno bene i make-up artist, gli hair stylist, gli assistenti personali, gli uffici stampa e, appunto, gli agenti. Sembra proprio che la vanagloria sia il minore dei loro difetti e alcune serie tv la rivelano senza pietà, ma con una dose massiccia di sarcasmo.

Lo sa bene Michael Douglas, che interpreta un maestro di recitazione ne Il metodo Kominsky (Netflix). Al Festival della TV di Monte-Carlo ha detto: «Con questa storia sveliamo i trucchi di un attore, ne sondiamo la struttura e ci ridiamo su. Chi si prende troppo sul serio rischia di farsi molto male e io lo so bene: siccome papà Kirk è stato davvero una “movie star”, nel mio caso montarsi la testa era fuori discussione. Me lo ripete spesso Danny DeVito, un amico vero e un grande talento… solo lui poteva divertirsi all’idea d’interpretare il mio urologo sul set».

Oltreoceano le bizze degli attori erano state raccontate, con dettagli molto, molto intimi, anche dalla più spregiudicata delle “ragazze” di Sex and the City, Samantha, che — ironia della sorte — è l’unica a non tornare nella miniserie And just like that, con il primo ciak in primavera. Lei che ha conquistato e domato il sex symbol della pubblicità della Vodka, poi lo butta via con un kleenex. Il poverino ha il grande difetto di amarla al punto da comprarle all’asta da Christie’s un anello di diamanti a forma di fiore, che la PR ribelle avrebbe invece preferito pagare di tasca sua. Ad Abu Dhabi, nel secondo film su Carrie & co. viene persino arrestata per oltraggio al pubblico pudore e atti osceni.

Che sia l’unico caso in cui un’agente dia più scandalo dei propri assistiti? Ryan Murphy non sarebbe d’accordo: nella miniserie Hollywood è proprio il manager/talent scout a creare il mito di un attore, possibilmente giovane, disponibile e di bella presenza. Henry Willson (interpretato da Jim Parsons, ex Sheldon di The big bang theory) ha inventato Rock Hudson, ma puntata dopo puntata si vede chiaramente il prezzo da pagare per il biglietto d’oro della fama.

Anche il Belpaese, prima che il politically correct arrivasse agli estremi, ha avuto la sua dose di autoironia grazie a Boris, ambientata inizialmente negli studi televisivi della fiction Gli occhi del cuore con una protagonista “cagna maledetta”, una produzione “a cazzo di cane”, un direttore della fotografia cocainomane sempre in “pausa caffè” e uno stagista “schiavo”. I raccomandati, gli incapaci e i lavativi dello show business italiano sono stati messi alla berlina anche da artisti del calibro di Paolo Sorrentino e Laura Morante, che in una puntata si è messa persino a stendere i panni sul balcone.

Sbirciare dietro la magia della settima arte, allora, sarebbe come aspettare l’arrivo di Babbo Natale tenendo d’occhio il camino dal buco della serratura. Con tutte le conseguenze del caso.Original Article

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