Le colpe di Vittorio Emanuele III, firmatario delle leggi razziali mussoliniane nel 1938, non si cancellano. Con una nota diffusa ieri in serata, la Comunità Ebraica Romana ha fatto sapere che non dimentica, che la storia non si cancella.
All’indomani della lettera di scuse di Emanuele Filiberto, arrivata a ridosso del Giorno della Memoria, la Comunità prende atto del gesto ma niente più. Chiedere oggi perdono, dopo 83 anni, è un gesto tardivo che non può riparare l’enormità dell’offesa. Ecco il comunicato della Comunità Ebraica Romana: «Prendiamo atto delle dichiarazioni di Emanuele Filiberto di Savoia. Il rapporto con Casa Savoia, nella storia e nella memoria è noto e drammatico. Ciò che è successo con le leggi razziali, al culmine di una lunga collaborazione con una dittatura, è un’offesa agli italiani, ebrei e non ebrei, che non può essere cancellata e dimenticata. Il silenzio su questi fatti dei discendenti di quella Casa, durato più di ottanta anni è un’ulteriore aggravante. I discendenti delle vittime non hanno alcuna delega a perdonare e né spetta alle istituzioni ebraiche riabilitare persone e fatti il cui giudizio storico è impresso nella storia del nostro Paese». Oltre alla firma che ha sancito le discriminazioni aprendo la strada allo sterminio, c’è stata, dice la nota, una “collaborazione con la dittatura”. E un silenzio lunghissimo, quasi un secolo di reticenza, che pesa e aggrava le colpe.
di
Umberto Gentiloni
I conti con la Storia non si chiudono. Il ricordo dei 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti non può essere spazzato via, né quello delle 7500 vittime italiane. Nella sua lettera Emanuele Filiberto chiedeva “ufficialmente e solennemente perdono”. Ma è proprio quel perdono che non può essere concesso. Avrebbe dovuto sapere Emanuele Filiberto che un ebreo non può perdonare “per conto terzi”. Per l’ebraismo si possono perdonare solo colpe subite in prima persona. Interessante in tal senso l’intervento di Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione italiana editori: «L’atto di Emanuele Filiberto mi sembra dovuto, ma la richiesta di perdono non ha ragion d’essere perché il perdono è sempre individuale. Avrebbe dovuto chiederlo Vittorio Emanuele III che ebbe tempo di farlo ma scelse di non farlo». E se molti, come lo storico Giovanni Sabbatucci, dicono «meglio una scusa di troppo che una di meno», altri come la scrittice Lia Levi sollevano un dubbio: «Perché chiedere il perdono oggi? Nel 2018, anniversario tondo delle leggi razziali, in molti ci aspettavamo un gesto ma non è arrivato. Perché ora?».
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