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Robert Lepage, teatrante visionario e poeta della scena

Robert Lepage ha forgiato lo spazio di due tour mondiali d'un genio del rock come Peter Gabriel, plasmando nel 1993, per The Secret World, due palchi uniti da un tapis roulant e dotati di botole e passaggi segreti, costringendo poi Gabriel nel 2001, per Growing up Live, a cantare a testa in giù in una struttura metallica che si staccava da terra. Regista di show, drammaturgo di luoghi, architetto di prospettive, mappatore di emozioni e depositario di tecnologie, ma anche fabbricante di visionarie e complesse performance, Lepage è per sua natura un poeta della scena. E infatti c'è un tributo riservato a lui, artista leonardesco e cosmopolita tra i più noti della scena canadese, c'è una minuziosa attenzione per lui teatrante, autore, interprete e regista che ha conciliato insieme memoria, politica e linguaggi multimediali, c'è un focus ragionato e illustrato su questo genio quebecchese, sabato 23 gennaio in seconda serata su Rai 5: viene trasmesso per la prima volta il documentario Memoria Maschera e Macchina di Anna Monteverdi e Simone Cannata.

'887' (foto di Érick Labbé)

Un doc con numerose interviste realizzate a Lepage in Europa e in Canada su temi che vanno dal suo iniziale teatro di ricerca ai mitici solo show accolti nei più grandi palcoscenici mondiali, senza escludere gli allestimenti per la lirica, con immagini che comprendono gli autobiografici 887 (approdato da noi al Romaeuropa Festival) e La face caché de la lune (arrivato al Piccolo Teatro di Milano), fino al più recente e collettivo Kanata (che ha fatto sosta al Napoli Teatro Festival), con citazione dell'Anello dei Nibelunghi commissionato dal Metropolitan di New York.

Il docufilm è arricchito di materiali video inediti tratti dagli archivi, concessi dal regista, e degli storyboard scenotecnici e iconografici del Ring avuti direttamente dallo scenografo Carl Fillion, che dopo aver collaborato 18 volte con Lepage e con la sua compagnia Ex Machina è passato da qualche stagione in forze al Cirque du Soleil. Un traguardo simbiotico, visto che lo stesso Lepage ha curato due fantasmagoriche regie di spettacoli del (connazionale) Cirque du Soleil, firmando nel 2004 l'allestimento di Ka dove gli artisti precipitavano dall'alto su un dispositivo girevole monumentale, e siglando nel 2010 la messinscena di Totem, viaggio multisensoriale nella storia dell'umanità. Amando sempre l'essenza, il sentimento, il monito del teatro.

'Kanata' (foto di Salvatore Pastore)

"Il teatro può parlare di olocausti come quelli nei campi di sterminio, o quelli causati dalla bomba atomica, o quelli generati dall'Aids – ha sostenuto a suo tempo – E se è vero che ho ideato lo spettacolo I sette bracci del fiume Ota per rispondere negli anni 90 alla committenza del governo del Giappone nel cinquantesimo anniversario di Hiroshima, se è ancora vero che con 887 ho accostato una mia saga familiare della gioventù a una storia più collettiva della comunità del Québec, è altrettanto vero che in Kanata – Episode I, La controversia ho riproposto la parabola della distruzione fisica e identitaria del popolo dei nativi, delle minoranze indiane nella società multiculturale del Canada". Sta in questo ragionamento, l'impegno continuo, personale e strenuo di Lepage che il regista riversa nelle sue ricostruzioni di destini corali, come bene dimostrerà il ritratto di Anna Monteverdi, ricercatrice di Storia del Teatro all'Università Statale di Milano (che segue il regista da una ventina d'anni), con la regia di Simone Cannata.

Il filo conduttore suggerito dal titolo, Memoria Maschera e Macchina, esprime e sintetizza la mappa dei percorsi artistici di Lepage sempre attento ai problemi delle comunità marginali, delle esistenze discriminate, dei ricordi compromessi, sempre incline ad approfondire i camuffamenti o le ritualità di microcosmi umani. E sempre però anche sensibile a una riproduzione appassionatamente evoluta, computerizzata e virtuale dei fenomeni narrati. Senza dubbio le possibilità del docufilm testimoniano al meglio le rielaborazioni e le rimodulazioni di cui spessissimo questo autore-attore-regista si serve per offrire agli spettatori alte tecnologie, spazi in movimento, ologrammi e science fiction che diventano un diagramma visuale delle sue sinossi, dei suoi quadri drammatici.

Oltre a La trilogia dei dragoni, a Tectonic Plates, a Gli aghi e l'oppio, a Elsinore, a Polygraphe e, tra le altre opere, The Anderson Project, resta indubbio che una pietra miliare della sua poetica a livello esponenziale risale al kolossal I sette bracci del fiume Ota che si basò su sette quadri contenitori ricavati da porte e pareti scorrevoli di una tipica abitazione nipponica, dove potevano insediarsi tanto le marionette Bunraku quanto uno stralcio di Mishima trasposto in situation comedy. Il resto, per chi vedrà la monografia messa ora a punto su questo ammaliatore civile, su Lepage, sarà teatro dello sguardo, del cuore, di un videomapping che fa recepire in altra maniera il mondo del sapere in cui abitiamo, e che ci abita.

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