Trent'anni fa il nostro primo incontro con Hannibal "the cannibal" Lecter che sarebbe entrato con prepotenza nell'immaginario del pubblico come uno dei cattivi più cattivi della storia del cinema grazie a Il silenzio degli innocenti. Più di noi, a incontrarlo era Clarice Sterling, la giovane agente interpretata da Jodie Foster che nel confronto col serial killer – al quale dava il volto Anthony Hopkins – avrebbe dato fondo a tutte le proprie energie scoprendo qualcosa di sé che non avrebbe mai immaginato. Da allora l'attrice due volte premio Oscar (nell'89 per Sotto accusa, l'altro proprio per Il silenzio degli innocenti nel 1992) si è misurata con tutti i generi e con tanti autori, da Woody Allen a Michael Apted, da David Fincher a Roman Polanski.
Ma quel film resta un punto fermo nella carriera dell'attrice (e del pubblico), tant'è che pochi giorni fa il sito di Variety ha organizzato una reunion online tra Foster e Hopkins, in attesa del 14 febbraio, data d'uscita del film. "Avevo paura di te, avevi vinto un'Oscar", confessa Hopkins a Foster, che ricorda come sua madre non riuscisse a capire perché avesse accettato il ruolo di una ragazza "così tranquilla, così scialba".
Hopkins e Foster potrebbero incontrarsi di nuovo ai prossimi Oscar: l'attore è in pole per una nomination grazie al ruolo di un padre malato di Alzheimer in The Father di Florian Zeller, con Olivia Colman, mentre Jodie Foster è tornata a recitare in The Mauritanian di Kevin Macdonald, in cui interpreta un avvocato per i diritti civili: il film racconta la vera vicenda di Mohamedou Ould Slahi, autore del libro di memorie Guantánamo Diary. Ould Slahi fu detenuto a Guantanamo e torturato per quindici anni senza mai ricevere dal governo Usa un'accusa formale né un capo d'imputazione. Dichiaratosi sempre innocente ed estraneo a ogni fatto, solo e spaventato, Slahi trova un alleato nella Hollander e la sua socia Teri Duncan (nel film l'attrice Shayleen Woodley). Una lunga battaglia legale che mette alla prova l'impegno delle avvocatesse nei confronti sia della legge che del loro cliente.
Incontriamo Jodie Foster via Zoom dalla sua casa di Los Angeles, in cui vive con la moglie Alexandra Hedison e i suoi due figli Charles e Kit Bernard.
Sono passati trent'anni ma "Il silenzio degli innocenti" è ancora un cult…
"Incredibile, il tempo sembra essere volato. In questi anni sono rimasta sempre in contatto con Anthony, portiamo avanti idee e lavori teatrali, siamo impegnati in progetti di insegnamento. Di sicuro condividiamo un momento straordinario in cui entrambi abbiamo dato il nostro meglio. Ogni tanto mi dico: oddio, spero non sia l'ultima volta in cui sono stata al meglio! Ma devo dire che quel film è difficile da superare. Certamente ha cambiato la nostra vita".
Che in questo momento è stata cambiata dalla pandemia. Come la sta vivendo?
"E' doloroso vedere altri soffrire. Io ho una bella casa, una famiglia intorno, c'è spazio per tutti e sono circondata dalla natura, leggo molto, e forse non capirò mai appieno le difficoltà cui va incontro mezzo mondo. Siamo e saremo tutti toccati e feriti da questa esperienza, ma spero che le cicatrici ci rendano migliori. Ne ho approfittato per imparare a fare cose che non sapevo fare, ho riscoperto il valore delle mura domestiche, uno spazio sacro".
E' tornata sul set per un film che racconta una storia vera, anche questa dolorosa.
"Cercavo un progetto che avesse un senso, un'importanza. Qui si racconta l'odissea di un uomo che dopo aver attraversato l'orrore della tortura, dell'isolamento, dell'abuso, ne è uscito rafforzato nella sua umanità, pieno di speranza. Lo spirito umano non può essere imprigionato. Ho accettato perché questa storia andava raccontata".
Il film esplora la paura del terrorismo, del radicalismo islamico nel periodo post 11 settembre, ma anche molti temi legati alla giustizia e alle ingiustizie.
"Sono tematiche di grande attualità. Quello dopo l'11 settembre è stato un periodo difficile e stroardinario per noi americani, ci chiedevamo: che facciamo con questa paura, con la sofferenza inflitta a tante persone? Ecco, la lezione di Slahi è proprio in come sia riuscito a trasformare la paura. Non lo ha incattivito. Noi, qui in America, non abbiamo ancora imparato questa lezione: la paura tira fuori il peggio di noi stessi. E non sappiamo perdonare, forse perché ci sentiamo sempre dalla parte del giusto, anche quando la storia ci dimostra il contrario".
Commenti recenti