"Io sono un figlio della Shoah, e la cosa che più mi è mancata è stata una pacca di mio padre sulle spalle, come se non avessi nessuna difesa. Il ricordo più felice è stato invece il mio matrimonio, la nascita dei miei figli e quando un ex alunno dice ai suoi figli: 'Questo è stato il mio Maestro, il mio Morè'. Ecco, tutto questo mi ubriaca di gioia".
Era un uomo così, modesto e immenso, Vittorio Haim Della Rocca, morto ieri di Covid all'Umberto I. Un omone di 87 anni che per decenni, a partire dal '53, fu al fianco dell'allora rabbino capo Elio Toaff, la sua ombra, con lui anche sulla Tevà, la tribuna della Sinagoga, quando per la prima volta nella storia un papa, Wojtyla, varcò l'ingresso del Tempio Maggiore. Si fregiava solo di "non essere mai salito sul carro dei vincitori" ma ancora nel '58 si dovette opporre ai tentativi di raid fascisti nel ghetto di Roma, lui e Toaff insieme a costruire una sorta di trincea tra via Arenula e Monte Savello, perché i missini – arringati da Michelini – avevano promesso di devastare il quartiere ebraico. In realtà poi il Rav vide un ragazzotto fascista avventurarsi nei vicoli presidiati, lo prese sottobraccio e lo convinse ad andar via perché avrebbe rischiato, lui, botte e sangue e violenza ricambiata.
E anche altre difese: Vittorio Della Rocca si oppose fiero a Kappler in fuga al Celio e si mise a presidio contro Priebke e il suo picchetto d'onore convocato in un tribunale di Prati. Soprattutto, si rimboccò le maniche per ricostruire la Comunità ebraica del dopoguerra, "una valle di lacrime"così la definì, per le leggi razziali, le deportazioni, i lutti in ogni casa. Un uomo, che, per dirla con le parole di Benedetto Carucci Viterbi, "che ti prendeva sottobraccio per accompagnarti e sostenere, un riferimento essenziale dentro la comunità. E con Toaff coppia indissolubile, due forme diverse di bonarietà".
A poco più di dieci anni si vide portare via il padre dalle Ss e seppe che morì nella marcia della morte ad Auschwitz. Allora abitava in via della Reginella, pieno Ghetto, e la gran parte della sua vita l'ha trascorsa in quei vicoli e nella piazza, andando poi ad vivere in via Catalana, a tre portoni dai Toaff, di fronte all'ingresso del Tempio.
Insegnante e rabbino amatissimo, è stato intervistato sul sito di Memorie Ebraiche su cosa significhi formare generazioni di giovani. A partire da quando aveva appena 20 anni e fu proprio Toaff ad avviarlo, affidandogli la classe della scuola ebraica più ribelle e indisciplinata e indomabile. Era "un uomo che trasmetteva pace, tranquillità e bontà", per dirla con le parole di Alberto Di Consiglio, figlio del "Moretto", il bel pugile che si oppose ai fascisti, "ma anche lui, a suo modo, un grande combattente".
La notizia della sua scomparsa ha raggelato l'intera comunità ebraica, decine le testimonianze di cordoglio. Oggi alle 10,30 l'ultimo saluto davanti alla "sua" Sinagoga. E qui si dice che "un dolore così lo lasciano dietro solo i Giusti".
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