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Blitz anti ‘ndrangheta: indagato l’Udc Cesa. I pm: è il terminale dei boss crotonesi

Gli hanno suonato a casa quando a stento era l'alba. "La Dia, aprite". In mano un avviso di garanzia e l'ordine di perquisire tutto, sequestrare ogni carta, ogni appunto, ogni device potenzialmente utile all'indagine. Corteggiato per giorni dai pontieri del premier Conte, il boccino della maggioranza assoluta in mano e un ruolo da "costruttore" rifiutato all'ultimo minuto, Lorenzo Cesa torna a conquistare le cronache. Ma per l'ennesima volta da indagato. La quinta – che si sappia – dopo essere inciampato in inchieste per abuso d'ufficio, processi per concussione naufragati per prescrizione e sequestri milionari poi annullati. Questa volta però l'accusa è grave e seria.

È lui, sostengono i magistrati della procura antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, il terminale ultimo di un'associazione a delinquere costruita in nome e per conto dei clan crotonesi. Gli Arena, i Grande Aracri, i Bonaventura, che da Cutro e Isola Capo Rizzuto puntavano ad accaparrarsi appalti e forniture in tutta Italia senza passare dalle gare o grazie a bandi cuciti addosso, ad accelerare pratiche, polverizzare burocrazia, oliare meccanismi.

Lo strumento? L'imprenditore Antonio Gallo, "il principino", arrestato su richiesta della procura di Catanzaro insieme ad altre 47 persone, tutte accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, traffico illecito di influenze e altri reati. Ufficialmente patron di un'impresa di dispositivi anti-infortunio – guanti, visiere, mascherine – in realtà, Gallo era per i magistrati era in realtà un "jolly in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso non in senso occasionale e intermittente ma organico e continuo".

Una risorsa e un interlocutore necessario per la politica, che con lui si siede fisicamente a discutere e a trattare. Gli uomini della Dia di Maurizio Vallone lo hanno visto.Era il 7 luglio del 2017. A pochi passi da piazza Barberini a Roma, allo stesso tavolo del ristorante "Tullio" ci sono Gallo, all'epoca già travolto da un'inchiesta come prestanome dei clan, l'allora eurodeputato Cesa e la filiera politica che ha portato l'imprenditore alla sua corte: l'uomo forte di Udc in Calabria, attualmente assessore regionale al Bilancio, Franco Talarico e due consiglieri comunali , Tommaso e Saverio Brutto, tutti finiti ieri ai domiciliari. Eccolo il capitale relazionale dei clan, la filiera che consente alle famiglie di 'Ndrangheta di trasformare capitali illeciti in affari alla luce del sole.

Quel pranzo – lo hanno confermato poi le intercettazioni – non era un caso. "Una volta che noi gli facciamo il contatto ad Antonio – ridacchiava soddisfatto uno dei Brutto – lui sa come azziccarsi". Gallo voleva arrivare agli appalti nazionali. Cercava contatti in Enac, Telecom, Anas. Un incontro con Claudio Lotito, l'imprenditore e presidente della Lazio. Al tavolo di quel ristorante romano, termini e canali sono stati discussi. L'uomo dei clan voleva "entrature" e qualcosa – confessano intercettati i Brutto – sarebbe arrivato. Cesa gli avrebbe presentato "un amico consulente di vari enti Enac, Eni, Telecom, Anas per seguirsi tutto il gruppo". L'assessore regionale Talarico, il 5% su ogni appalto o commessa così, dice intercettato, "in base alla fornitura, noi sappiamo preciso… Lorè (Cesa ndr), questo c'ha il 5%". Più una valanga di voti alle politiche 2018.

All'epoca Talarico è candidato capolista nel collegio uninominale di Reggio Calabria. Ma per Gallo, muoversi nella città calabrese dello Stretto non è un problema, può contare su appoggi importanti. Il suo compare d'anello, l'ex senatore Antonio Caridi – oggi imputato come politico creato dall'élite dei clan per rappresentarli nelle istituzioni – è da mesi in carcere, ma la sua "macchina" è operativa.

A Gallo ha lasciato in eredità Francesco Antelmi, un incarico al Senato prima nella struttura di Caridi, poi con Verdini, quindi con Pietro Iurlaro, sempre di Ala. A disposizione delle ambizioni elettorali di Talarico invece, ci sono Antonino Pirrello, titolare di un'impresa di pulizie con commesse in tutta Italia e Natale Errigo, 34enne, dipendente di Invitalia (che si è affrettata a sospenderlo) con parentele di peso fra i clan di Archi, quartiere-feudo dell'élite della 'ndrangheta.

Con l'assessore regionale si incontrano a Roma, nei pressi del Pantheon. "Siamo il gruppo che seguiva Antonio (Caridindr) dappertutto. Andammo anche al compleanno di Berlusconi" è la presentazione. La richiesta, chiara ed esplicita "Franco noi abbiamo bisogno di dare una mano a uno e poi di avere un riferimento, non possiamo fare le cose nella massima trasparenza" dice Errigo, "è un do ut des". Se possibile, ancor più chiaro è Gallo che qualche tempo dopo proprio a lui assicura "ho detto (a Talarico) vedi che io mi sto esponendo a Reggio. Non è che vinci e ti dimentichi, che prendono e ammazzano me". Per i magistrati, l'ennesima prova del "tipo di ambienti che sono stati compulsati per i voti, cioè ambienti 'ndranghetisti"

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