Procida Capitale italiana della cultura è un'idea commovente ed entusiasmante, e bisogna essere grati a tutti coloro che si sono adoperati per rendere concreto, in tempi come questi, un gesto politico che ha il sapore della poesia.
Ogni volta che ho messo piede sull'isola ho avvertito la sensazione di essere su un lembo di terra che racchiude misteriosamente molte cose, al di là di quelle che si vedono e che già sono straordinarie di per sé, il mare, le case, i giardini nascosti dietro gli interminabili muri, la sabbia nera, le vedute su Napoli, Ischia, Capri. Anche perché ho messo tante volte piede sull'isola senza esserci andato. L'ho fatto leggendo L'isola di Arturo di Elsa Morante, uno dei più bei romanzi della letteratura italiana del Novecento. L'ho fatto studiando le memorie dei patrioti che nell'Ottocento venivano rinchiusi nel grande carcere che domina l'isola (era una vera e propria città governata dalla camorra, migliaia di detenuti, e quasi si immagina che l'isola potesse inclinarsi, schiacciata com'era da un lato sotto il peso di tanta tragica vitalità).
di
Anna Laura De Rosa e Paolo Popoli
Ci sono stato guardando con le lacrime agli occhi Il Postino di Michael Radford. E non fa niente se ero stato a trovare Massimo Troisi sul set di Salina, il film ricreava perfettamente l'incanto di Procida, che, ripeto, è un'isola anfibia, mezza realtà e mezza immaginazione, di modo che oggi sembra il sigillo perfetto per la filmografia di Troisi, che più passa il tempo, più sembra una creazione irripetibile per levità, come un tappeto volante.
Anche Procida sembra un tappeto volante, bassa com'è, il dorso di una grande balena.
Ci sono stato guardando le foto che Antonio Biasiucci scattava a Antonio Neiwiller, che negli ultimi anni della sua vita aveva eletto l'isola a luogo ideale per approfondire con i suoi attori l'idea di laboratorio.
Ostinatamente Antonio cercava di tenerla viva, nel tempo in cui la mercificazione di ogni cosa travolgeva le nostre vite, e Procida diventava il luogo dove era possibile farlo perché, insisto, per metà è fatta di immaginazione, e dunque non c'è, sfugge, dunque è un riparo dalla realtà o, per meglio dire, è un lato nascosto e incontaminato della realtà. E mentre il grande Neiwiller a Procida creava le sue ultime struggenti azioni teatrali, Biasiucci scattava, diventando a sua volta, proprio in quel momento, il grande fotografo che conosciamo.
Ci sono stato mettendo in scena "Rasoi" di Enzo Moscato, immaginando con spavento " 'e piscature nire, dall'uocchie e' lampara, diente 'e drago" che abusano di Pallummiello come in un gioco, perché "' a bellezza, spisso, è solo l'esca della crudeltà".
Ci sono stato ascoltando la voce di Concetta Barra, perché da Procida proveniva il segreto che la rendeva un'icona sì napoletana, ma sempre altra e sfuggente, come una divinità indiana, come del resto il suo meraviglioso figlio Peppe, oggi tra i primi che dobbiamo ringraziare per questa inaspettata vittoria dell'isola, prescelta per un grande compito che certamente saprà onorare al meglio. E quanti incontri ho avuto a Procida!
Uno per tutti, Manoel de Oliveira, invitato da Enrico Ghezzi al festival cinematografico da lui realizzato per alcuni anni, uno dei più belli del modo, procidano al cento per cento, fuoriorario, seminascosto, per metà immagini per metà pensieri, un'incompiutezza che è una magia e una risorsa, qualcosa di cui Procida saprà preziosamente parlare a un mondo che, tutti ci auguriamo, sarà uscito dalla pandemia. Del resto, niente paura: i riflettori illumineranno Procida ma non la contamineranno, il suo segreto è inespugnabile e resterà tale per sempre. E un bicchiere da Bostik, che dai rave oceanici è approdato al terrazzino incantato dell'Unico a picco sulla Corricella, sotto la luna, non ce lo leverà mai nessuno.
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