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Crisi di governo: Zingaretti, col premier piena sintonia e un patto elettorale

ROMA – Al Nazareno lo chiamano "il capolavoro di Renzi", traduzione empirica dell'eterogenesi dei fini. La rottura del leader di Italia viva, aggravata dai toni aggressivi utilizzati nell'aula di palazzo Madama, ha finito per rafforzare e rendere pressoché inamovibile proprio l'uomo che il senatore di Scandicci voleva spodestare: Giuseppe Conte. Dal segretario dem ormai considerato non soltanto "l'unico punto di equilibrio possibile" tra il Pd e un M5S talmente balcanizzato da far apparire impraticabile qualsiasi ipotesi di accordo su un premier diverso, ma il perno attorno al quale costruire quell'alleanza strategica – in chiave sia politica sia elettorale – su cui Nicola Zingaretti e Dario Franceschini hanno scommesso già da un po'.

Un processo che il precipitare degli eventi ha contribuito a chiarire, evidenziando come mai prima il perimetro del futuro centrosinistra: un matrimonio di interessi combinato in Parlamento, rinsaldato dall'esperienza di governo e ora pronto a tramutarsi in coalizione organica e competitiva quando si tornerà alle urne. Esattamente il progetto che Renzi, sparando ad alzo zero contro presidente del Consiglio, puntava a far saltare.

Ecco perché lo strappo di Italia Viva non sarà perdonato: ha messo a repentaglio "il percorso irreversibile" imboccato dal leader dem. Il solo che, sondaggi alla mano, consentirebbe alle forze progressiste di "giocarsela alla pari con il centrodestra". Il segretario l'ha visto l'altra sera Pagnoncelli in tv spiegare che gli italiani si fidano più del tandem Conte-Zingaretti (42%) che di Salvini-Meloni (38). Gli hanno raccontato il disagio dei centristi nei confronti della Lega, gli abboccamenti per capire come i giallorossi intendono allargare la maggioranza mutilata da Renzi. Alla quale, scandisce il governatore laziale, "va data un'identità politica" a partire dai volenterosi che si sono manifestati votando la fiducia.

Un'operazione che però va chiusa in fretta – "Bisogna correre", incalza il segretario durante la video-riunione convocata da Conte con gli altri leader e capidelegazione – per ridurre al minimo il rischio di incidenti parlamentari, irrobustire l'esecutivo e metterlo nelle condizioni di arrivare fino al 2023. Premessa del "nuovo patto di legislatura necessario ad affrontare le sfide enormi che abbiamo davanti". Cui far seguire un corposo rimpasto. Da realizzare, anche se sul punto gli approcci nel Pd divergono, con il varo del Conte ter, che dovrebbe sottoporsi a un altro voto di fiducia per dare il senso del nuovo inizio e della nuova squadra.

Un passaggio inevitabile per il Nazareno, nonostante i timori di molti ministri, specie se dovessero arrivare in soccorso – come Zingaretti crede e spera – l'Udc di Cesa, emuli della forzista Polverini, diversi fuoriusciti renziani. Deputati e soprattutto senatori in grado di formare la quarta gamba del governo, neutralizzare Renzi (che però molti dem vorrebbero far tornare) e garantire una navigazione meno perigliosa. Assicurando, nell'immediato, l'inoffensività delle opposizioni (Iv inclusa) e, nel medio-lungo periodo, la disarticolazione del campo avverso.

È ciò a cui punta il Nazareno. Non per caso fra le pietre miliari della sua road map ha inserito la legge elettorale proporzionale. Sistema prediletto da Fi perché le consentirebbe di marcare una propria identità autonoma dai sovranisti, sottrarsi all'Opa di Salvini e magari chissà, avvicinarsi al centrosinistra. Motivo per cui piace molto pure all'Udc.

Una manovra complessa, Zingaretti non lo nasconde. "Ora dobbiamo agire su due fronti: i problemi degli italiani e una prospettiva politica del governo. Ne ho parlato con Conte, è consapevole anche lui", spiega. Non c'è tanto tempo però, anzi "il premier ne ha pochissimo", avverte Bettini: "Nelle prossime settimane dobbiamo capire se ci sono le condizioni per un rilancio della nostra azione". Altrimenti "si va ad elezioni, noi non abbiamo paura". Alleati e renziani di sicuro un po' di più.

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