REGGIO EMILIA – Ieri sera alle nove sul Mapei Stadium incombeva una nebbia gelatinosa che stasera, previsioni alla mano, dovrebbe pure peggiorare: chissà allora cosa ne sarà di quest’altro Juventus-Napoli in bilico sulla sua stessa esistenza. Ci sarà? Non ci sarà? La Supercoppa manderà finalmente in archivio 108 giorni di attesa dalla partita fantasma del 4 ottobre? Sono stati tre mesi ad alta tensione soprattutto per il Napoli, però Gattuso ha cercato di lasciarseli alle spalle: «A Torino volevamo andarci e ci fermò la Asl. Direi però di chiuderla qui. La sfida è già molto sentita, aggiungo solo che da parte nostra c’è sempre stato rispetto per le regole e per i bianconeri. Le chiacchiere stanno a zero, comprese quelle su Valeri, ottimo professionista». Agnelli e De Laurentiis da allora si sono già rivisti, senza fare storie. Ieri invece il presidente bianconero ha ricevuto in sede Florentino Perez, gran capo del Real Madrid: non hanno parlato di mercato ma di grandi manovre, di Superlega, del calcio che verrà. Ad Agnelli, anche in quanto presidente dell’Eca, interessa soprattutto questo.
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di
Marco Azzi
Si gioca nella nebbia di Reggio perché il Covid ha proibito il solito espatrio prenatalizio in Arabia Saudita e perché Bonaccini, la primavera scorsa, fu il primo governatore ad autorizzare il ritorno agli allenamenti di squadra e quindi la Lega supponeva, quando si è trattato di scegliere la sede di questa Supercoppa, che sarebbe stato di manica larga anche su una minima apertura al pubblico. Ma la pandemia non ne ha voluto sapere, eppure la partita è rimasta lo stesso nello stadio più nebbioso e tra i più freddi, invece che traslocare al centro-sud.
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Restano le suggestioni di una sfida spesso ruvida, benché l’amicizia di vecchia data tra Gattuso e Pirlo la ammorbidisca assai. Uno è qui perché a giugno sfilò la Coppa Italia La Juve, l’altro perché Sarri ha vinto lo scudetto prima di essere defenestrato per fargli posto, ma adesso è il bianconero quello più esposto ai rischi, alle nebbie di una squadra che ogni tanto si inabissa nel grigio, come contro l’Inter. «Questa partita arriva al momento giusto: abbiamo la fortuna di avere subito la possibilità di rifarci». Pirlo ostenta serenità e sicurezza, circoscrive i problemi a circostanze episodiche, confida che stavolta i giocatori lo seguiranno («Abbiamo provato delle soluzioni spero di vederle in campo») e insomma si sforza di non sembrare l’allenatore in difficoltà di una squadra in difficoltà: «La sto vivendo bene, sono abituato a questo tipo di situazioni. Mi dispiace per i giocatori, quello sì: non era il caso di attaccare i giovani, preferisco che attacchiate me». Però Frabotta, che a San Siro è stato più vittima che carnefice, potrebbe essere uno di quelli a saltare un turno, assieme a Rabiot, Ramsey e Morata. Pirlo è in grave emergenza, ha perso anche Demiral per un infortunio non chiaro ma spera di ritrovare Cuadrado, pronto ad aggregarsi in giornata se tornerà negativo al Covid. Però non cerca scuse («Niente alibi», dice Danilo) né scappatoie: «È una finale, non un bivio. E le finali non si giocano, si vincono».
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Anche Gattuso spera che la Supercoppa faccia storia a sé, invece di trasformarsi in un trait d’union con la gara fantasma, anche se da allora a oggi c’è il filo conduttore dell’emergenza: il virus ha messo fuori gioco Osimhen e Fabian Ruiz, c’è Mertens a mezzo servizio e Petagna è stato recuperato in extremis. Navigare a vista è la normalità, in una stagione così anomala: «Con questo dannato virus non c’è tranquillità», dice Gattuso. La sua amicizia con Pirlo garantisce però una boccata di aria buona: «Ci conosciamo dalle nazionali giovanili, abbiamo pure fatto danni insieme: sembravamo Bud Spencer e Terence Hill, lui ha preso più schiaffi da me che da suo padre. Spero però sportivamente di dargli un dispiacere». O magari addirittura una lezione, come ha fatto Conte. Un amico anche lui.
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