ROMA – Il Vietnam in Parlamento potrebbe partire dalla capigruppo, la riunione dei presidenti dei gruppi parlamentari chiamata a decidere i lavori delle Camere. Se i renziani decidessero di allearsi con la destra nelle richieste, allora non ce n’è più per nessuno al Senato. Sarebbe l’inizio della palude.
Il giorno dopo l’astensione di Italia Viva e la fiducia dei 156 senatori al governo Conte, nella maggioranza giallo-rossa si ragiona su come si andrà avanti alle Camere. E gli occhi sono puntati, appunto, sulla capigruppo. È qui che si decide il calendario dei lavori d’aula, qui che, per provocazione, si può chiedere di mettere in programma una informativa o una comunicazione del presidente del Consiglio a ogni piè sospinto, qui che si può ostacolare la conversione di un decreto legge, qui che si può dare impulso a un provvedimento ai danni di un altro.
Al Senato potrebbe essere il passe partout per trabocchetti e agguati, se Matteo Renzi scegliesse questa tattica. A Montecitorio la questione è stemperata: i numeri ci sono, con uno scarto tale da rendere quasi ininfluenti eventuali sgambetti renziani. Inoltre c’è la concreta ipotesi della nascita di un nuovo gruppo autonomo con Bruno Tabacci e quindi di un allargamento sicuro della capigruppo. Però il Pd teme le conseguenze politico-parlamentari – apparentemente formali, in realtà sostanziali, dopo lo strappo di Renzi. .
Riccardo Nencini, il senatore socialista che ha consentito a Italia Viva di organizzarsi in gruppo parlamentare autonomo, offrendogli il simbolo del Psi presentato alle elezioni (indispensabile secondo il regolamento di Palazzo Madama), ha votato in dissenso dall’astensione decisa dai renziani e ha appoggiato il governo Conte con un Sì a sorpresa. Tuttavia assicura che non toglierà il simbolo al gruppo di Italia Viva, che altrimenti potrebbe essere costretto a sciogliersi. Comunque vadano le cose, i renziani siedono nella conferenza dei capigruppo con Davide Faraone. E costituiscono l’ago della bilancia, perché il capogruppo ha un peso in base ai parlamentari che rappresenta. E a Palazzo Madama, la maggioranza giallo-rossa verrebbe messa sotto scacco e in minoranza dalla destra con l’aggiunta renziana. Una saldatura di Italia Viva con Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega farebbe pendere da quel lato le decisioni.
Loredana De Petris, presidente dei senatori del gruppo Misto e leader di Leu, ricorda che giovedì scorso proprio sulla comunicazione di Conte sulla crisi di governo si era cominciato a ballare in capigruppo. L’opposizione delle destre, più Italia Viva, volevano infatti che le comunicazioni del premier e la relativa fiducia si tenessero nella stessa giornata di lunedì sia alla Camera che al Senato. Orari previsti? Fiducia finale a Palazzo Madama alle 4 di mattina con inevitabili defezioni dei senatori a vita: ragiona De Petris. Comunque la capigruppo è la prima cartina al tornasole di quello che può accadere adesso con i renziani fuori dalla maggioranza. Il Pd ne è consapevole. Martedì prossimo a Palazzo Madama alle 15 conferenza dei capigruppo e prova del nove.
A seguire, sono gli equilibri delle commissioni parlamentari a saltare. Anche ammettendo che i renziani possano essere sostituiti dai cosiddetti responsabili in alcune commissioni – e che quindi il motore del lavoro legislativo non finisca impallato – sono tre le commissioni la cui presidenza è toccata a Italia Viva: la commissione Finanze, snodo decisivo alla Camera, con Luigi Marattin la Trasporti con Raffella Paita e al Senato la commissione Salute affidata a Annamaria Parente, dove passano i provvedimenti che hanno a che vedere con il Covid.
di
Emanuele Lauria
A cominciare dalla conferenza dei capigruppo, via via a seguire nelle commissioni, prima ancora di approdare all’aula e ai suoi risicati numeri, la guerriglia politico-parlamentare è dietro l’angolo.
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