«Dobbiamo tornare a fare almeno gli esami in presenza», l’appello sta prendendo forma per essere formalizzato al rettore dell’Università di Genova, Federico Delfino, da parte di un gruppo di professori che, trasversalmente rispetto ai diversi Dipartimenti, spiegano che il rischio truffa non può essere escluso e che «gli esami a distanza generano una responsabilità che non possiamo più assumerci», rispetto al loro regolare svolgimento. «Non siamo in grado di controllare come dovremmo, per assicurare che tutto avvenga secondo le regole», aggiungono.
Qualche giorno fa Repubblica ha raccontato il caso di una tentata truffa scoperta e sventata dal Dipartimento di Scienze politiche in cui alcuni studenti avrebbero chiesto ai propri tutor di “sostituirsi” a loro all’esame, affidandosi a inquadrature sfocate e furbeschi controluce.
di
Marco Preve
L’emergere di quel caso, prontamente intercettato, sta trasformando in richiesta organizzata ciò che finora serpeggiava tra le aule vuote dei Dipartimenti ormai da diversi mesi: «All’inizio della prima ondata ci trovavamo in emergenza e l’Università ha reagito per prima, riorganizzando lezioni ed esami a distanza in tempi record – riconoscono, orgogliosi, i professori – e il sistema continua a funzionare egregiamente per le lezioni: i professori hanno a disposizione un supporto tecnico continuo. Per gli esami, però, ci sentiamo scivolare via il controllo, che per noi costituisce responsabilità della correttezza dello svolgimento delle prove».
Le diverse voci si intrecciano e confermano che i “furbetti degli esami online” stanno su un confine sottile, difficilmente riconoscibile dal docente, tra la comprensione delle oggettive difficoltà di molti e gli artifici registici di altri.
«Abbiamo studenti che devono spartirsi magari due pc in famiglia, tra loro, il fratello o la sorella, pure in Dad, e i genitori in smart working: spesso seguono le lezioni dal cellulare, o dal cellulare sostengono l’esame – spiega una docente – da quel piccolo schermo, con fotocamere di bassa qualità, mi rendo conto di stentare, talvolta, ad avere la certezza assoluta che il candidato in video corrisponda alla fotografia sul tesserino universitario che mi viene mostrato».
Eppure c’è, tra molti professori, l’incertezza rispetto alla solitudine del candidato nella stanza inquadrata davanti alla telecamera: «La fatica è continua per noi – spiegano due professori – richiamiamo l’attenzione dello studente che sta sostenendo l’esame a guardare dritto nella telecamera, senza distogliere lo sguardo: non sempre siamo certissimi che gli studenti siano davvero soli e magari, al di là dello schermo, ci sia qualcuno a suggerire».
Poi c’è un’altra eventualità, che non può essere esclusa: «Prima di iniziare l’esame, chiedo sempre ai candidati di inquadrare il loro piano di lavoro per controllare che non ci siano documenti o appunti in giro – dice una professoressa – ma è chiaro che mi devo fidare. Oppure, a volte ambiguamente, ci sono problemi di connessione: succede che i candidati scompaiano, magari dopo una domanda, o si azzeri l’audio. Come facciamo a certificare che al di là della telecamera tutto sia in regola?».
Insomma, il malessere è diffuso contro gli esami online, non contro una didattica a distanza che, tutto sommato, funziona e anzi sta restituendo ai professori feedback importanti: «Per molti ragazzi la possibilità di rivedere le lezioni registrate dà loro chance di comprensione che prima, in presenza, non avevano», assicurano alcuni docenti. Il problema però sta proprio nella certificazione delle competenze: «Siamo al terzo semestre consecutivo di lezioni a distanza – contano alcuni docenti – non è un problema: lo sta diventando invece fare esami. Siamo disposti a dilatare le sessioni, per distanziare i candidati, convocarli uno per volta, ma abbiamo bisogno di tornare a valutare con rigore i nostri ragazzi, per il bene dell’Università e loro, affinché il loro lavoro sia correttamente riconosciuto».
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