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Fisco e Bitcoin: tutto quello che c’è da sapere sulla tassazione delle criptovalute

MILANO – Protagonista di un rapido saliscendi nelle ultime settimane, e non è certo la prima volta, il Bitcoin è tornato ad essere uno degli asset più chiacchierati dei mercati finanziari e non solo. La criptovaluta si è posizionato la scorsa settimana in area 35.880 dollari, registrando nella sola seduta di venerdì prima un valore di quasi 40 mila dollari e poi una discesa nell'ordine dei dieci punti percentuali. Dopo il picco del 7 gennaio, quando la moneta virtuale ha toccato i 41 mila dollari, la criptovaluta è prima scivolata a 30 mila dollari il giorno 11. Al netto del saliscendi e del dibattito che ciclicamente generano le criptovalute, per un numero sempre maggiore di investitori il Bitcoin rappresenta una scommessa in portafoglio. Ecco allora un aspetto importante da chiarire: il suo trattamento fiscale. Dario Sencar, Partner di PwC TLS, e Giovanni Falsitta ci guidano rispondendo alle domande più comuni sul punto. Con una premessa importante: la materia, oltre che assai complessa, è in parte ancora poco definita.

Accusa e difesa, processo al Bitcoin: ma intanto tutti provano a imitarlo

di

Ettore Livini


1. Come sono inquadrati i Bitcoin dal punto di vista fiscale dalle norme italiane?

Il quadro normativo fiscale italiano, ed in particolare le regole fiscali che disciplinano la tassazione diretta e indiretta, non contiene definizioni né tantomeno criteri impositivi che, in modo esplicito, diretto ed immediato, consentano di inquadrare, qualificare e trattare i "bitcoin". Il quadro normativo fiscale italiano è frutto della combinazione dell'attività interpretativa della Corte di Giustizia, che nel 2015 ha emesso una fondamentale sentenza con riferimento al trattamento ai fini IVA dei servizi di intermediazione dei bitcoin (Causa C-264/14), e dell'Agenzia dell'entrate, che a partire dal 2016 ha offerto indicazioni su come trattare i bitcoin e le criptovalute assimilabili attraverso risposte ad interpelli (Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, Risposta n. 956-39/2018, quest'ultima diffusa solo ufficiosamente). L'attività legislativa e regolamentare ha avuto impatto limitato sull'impostazione che l'Agenzia delle entrate ha mantenuto negli anni: i bitcoin e le criptovalute la cui finalità prevalente è di fungere da mezzo di pagamento, i cosiddetti Payment token (quali bitcoin, ether, litecoin) vanno assimilati a "valute straniere" tradizionali.

Questo, tuttavia, non vale per tutte quelle criptovalute che, diversamente dai bitcoin (payment token), abbiano quale funzione principale quella di rappresentare un diritto di partecipazione o di credito (security token) o il diritto di ricevere un bene o servizio (utility token). In questo caso, infatti, l'impostazione (maggiormente criticata) dell'Agenzia delle entrate sembra quella di applicare il trattamento previsto per gli strumenti finanziari a cui possono essere assimilati o per i rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (Risposta n. 14 del 28 settembre 2018 e Risposta n. 110 del 20 aprile 2020). In questa guida prenderemo in considerazione solamente criptovalute quali il bitcoin ed i payment token.

2. Bisogna denunciare il possedimento di Bitcoin, quando e con quali effetti?

Le istruzioni alla dichiarazione dei redditi indicano le "valute virtuali" (bitcoin), come definite dal Decreto Antiriciclaggio, tra le attività estere di natura finanziaria per cui è previsto l'obbligo di compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi. Il quadro deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all'estero e attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione (la disciplina è contenuta nell'articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990).

Nella Risposta n. 956-39/2018, l'Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito, affermando che le valute virtuali (bitcoin) ricadono nel perimetro di applicazione della norma in quanto attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti a cui è esteso l'obbligo di monitoraggio, previsto normalmente per la attività detenute all'estero in forza dei chiarimenti resi con la circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.).

Sotto il profilo operativo, l'Agenzia delle entrate chiarisce che:

  • le valute virtuali vanno indicate nella colonna 3 ("codice individuazione bene") con il codice 14 – "Altre attività estere di natura finanziaria";
  • non è obbligatorio indicare nella colonna 4, il codice dello stato estero;
  • Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale. Negli anni successivi, il contribuente indica il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d'anno.

Un aspetto che non sembra del tutto chiarito è se in ragione dell'assimilazione che l'Agenzia delle entrate fa dei wallet ai depositi e conti correnti, possa applicarsi l'esenzione dall'obbligo di monitoraggio, prevista per i depositi e conti correnti bancari detenuti all'estero, nel caso in cui l'ammontare di criptovaluta posseduta sia inferiore a 15.000 (art. 2 della Legge n. 186 del 2014). L'opinione diffusa è che l'esclusione possa essere estesa anche alle valute virtuali; non sembrano tuttavia rinvenirsi chiarimenti espressi sul punto. E' bene chiarire che la compilazione del quadro RW, che risponde all'obbligo di monitoraggio fiscale, non implica l'assoggettamento a imposizione dei valori indicati per la cui tassazione, come illustrato infra, devono ricorrere specifiche condizioni di imponibilità.

Bitcoin, nuovo record sopra 40 mila dollari: "Dietro la corsa il sogno del guadagno facile"

di

Flavio Bini

,

Raffaele Ricciardi


3. Ho creato un portafoglio su una piattaforma di scambio di criptovalute e acquistato Bitcoin per euro 100.000. Dopo tre mesi ho rivenduto i Bitcoin per euro 150.000. Quel guadagno mi viene tassato?

L'Agenzia delle Entrate applica le regole di tassazione delle valute estere, previste dall'articolo 67, comma 1, lettera c-ter del TUIR. La norma che si colloca nell'ambito della tassazione dei "redditi diversi" – categoria in cui confluiscono ad es. i redditi derivanti dalla cessione di beni finanziari – prevede che la cessione a titolo oneroso di valute estere sia fiscalmente rilevante in due fattispecie:

  1. in caso di cessione a termine, e
  2. in caso di cessione a pronti, quando le valute rivengano da depositi o conti correnti e la giacenza complessiva di tali depositi e conti correnti sia superiore per almeno sette giorni lavorativi continui al controvalore in euro di €51.645,69 secondo il cambio al 1° gennaio dell'anno.

Lasciando da parte l'ipotesi della cessione a termine, nel caso più comune di cessione a pronti è necessario partire dal fatto che l'Agenzia delle entrate ritiene che ogni tipologia di wallet utilizzata (e.g. paper wallet, hardware, desktop, mobile, custodian e non) sia da assimilarsi ad un rapporto di deposito o conto corrente. Tale posizione, oggetto di ampie critiche, implica che l'elemento da esaminare per sapere se la plusvalenza realizzata (ossia la differenza positiva tra il costo di acquisto ed il prezzo di vendita) dalla cessione di bitcoin sia o meno imponibile, diventa verificare la giacenza complessiva detenuta in valuta estera tenendo conto che il calcolo va fatto prendendo il tasso di cambio bitcoin/euro del 1 gennaio dell'anno e che questa vada calcolata, complessivamente, per tutti i depositi e conti correnti in valuta estera detenuti. La disponibilità ad esempio di un conto corrente in cui siano depositati 50.000 dollari comporta che il possesso di bitcoin il cui controvalore sia superiore a 1.645,69 euro integra il superamento della soglia impositiva.

Un altro aspetto da considerare, in un contesto di elevata fluttuazione come quello del bitcoin, è che il conseguimento di una plusvalenza significativamente superiore alla soglia prevista di per sé non comporta la tassazione, in quanto è possibile che prendendo il tasso di cambio di inizio anno, il controvalore del portafoglio non superi l'importo minimo. Il rally avuto dal valore del bitcoin nel 2020, passato dai 6.500 euro del 1 gennaio ai 26.500 del 31 dicembre, è emblematico in tal senso.

In merito al tasso di cambio, la risposta dell'Agenzia delle entrate ritiene utilizzabile il tasso di cambio presente sul sito su cui è avvenuto l'acquisto di bitcoin o, in mancanza, su quello maggiormente utilizzato dal contribuente. Nel caso in cui cioè non sia possibile, perché ad esempio i bitcoin siano stati acquistati e negoziati tramite canali che non pubblicano tale valore, dovrebbe essere possibile ricorrere alle informazioni di settore raccolte e rese disponibili da operatori finanziari (e.g. Coin Market Cap).

Assumendo che la soglia sia superata e che più in generale siano integrate le condizioni per l'assoggettamento a imposizione, è necessario determinare la plusvalenza. Questo non sempre può essere un esercizio semplice.
Le regole generali prevedono che:

  • per determinare l'utile (o la perdita), è necessario confrontare, per ciascuna operazione di cessione, il ricavo (o corrispettivo) in euro al costo (fiscale) in euro, considerando che, nel caso in cui i bitcoin ceduti siano stati acquistati in più fasi, si considerano ceduti per primi quelli acquisiti in data più recente (articolo 67 comma 1-bis TUIR);
  • il corrispettivo, sia per le operazioni a pronti che per quelle a termine è pari al prezzo di cessione in euro. Nel caso di conversione in altre valute, virtuali o meno, o di scambio con altri asset, il corrispettivo è costituito dal valore normale in euro della valuta o del bene ricevuto in cambio (articolo 68 comma 6 del TUIR);
  • i prelievi dai depositi e i conti correnti vengano assimilati alle cessioni il cui corrispettivo "presunto" deve essere determinato in base al cambio in euro del bitcoin alla data di movimentazione e il costo, qualora manchi la relativa documentazione, si assuma pari al valore della valuta al minore dei cambi mensili reperito ragionevolmente come per il calcolo della giacenza (articolo 68 comma 6 del TUIR);
  • le minusvalenze sono determinate con gli stessi criteri stabiliti per le plusvalenze.

Nell'esempio pertanto, assunto di avere superato la soglia di tassazione, la plusvalenza di euro 50.000, sarà assoggettata a tassazione.

4. Quando si genera la plusvalenza? E se decidessi di convertire i Bitcoin in euro ma tenerli sul portafoglio virtuale, oppure convertirli in un'altra criptovaluta?

La plusvalenza confluirà nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui avviene la cessione (e.g. se la plusvalenza viene conseguita nel 2021, la dichiarazione relativa sarà presentata nel 2022). Assumendo che il contribuente non abbia altri redditi diversi di natura finanziaria, gli utili da bitcoin realizzati nell'anno, da indicare nel quadro RT del modello Redditi PF, saranno assoggettati ad un'imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento. In caso di perdita, questa sarà utilizzabile fino a concorrenza delle plusvalenze dei periodi d'imposta, ma non oltre il quarto.

Lo stesso vale in caso di permuta verso altra criptovaluta o altro bene, in quanto dal punto di vista fiscale si configurano a tutti gli effetti come cessioni.

A questi casi, va poi aggiunta l'ipotesi del prelievo che, nel contesto delle valute estere tradizionali, configura un evento impositivo nel momento stesso in cui la valuta venga prelevata dal deposito o dal conto corrente. In questi casi, la plusvalenza o la minusvalenza, calcolate come detto sopra, assumono rilevanza al momento del prelievo (i.e. plusvalenza o minusvalenza andranno inserite nella dichiarazione del periodo di imposta in corso).

5. Ho investito in Bitcoin ed Ethereum. Sul primo investimento ho generato una plusvalenza, sul secondo una minusvalenza. Si possono compensare le due (o più) operazioni?

Sì. La norma prevede che le plusvalenze derivanti dalla cessione di valute estere (e pertanto anche di bitcoin secondo l'impostazione dell'Agenzia delle entrate) siano sommate algebricamente alle relative minusvalenze, e a quelle derivanti dalla cessione di altre attività finanziarie (e.g. partecipazioni, obbligazioni). Peraltro, se l'ammontare complessivo delle minusvalenze e delle perdite è superiore all'ammontare complessivo delle plusvalenze e degli altri redditi, l'eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto. Condizione necessaria è che tale eccedenza sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale le minusvalenze e le perdite sono state realizzate (articolo 68 comma 5 del TUIR).

6. Se decido di tenere un portafoglio di Bitcoin per acquistare beni e servizi online, devo trattarli al pari di un investimento?

La finalità di detenzione non ha impatti sul trattamento fiscale. E' interessante sottolineare quanto si diceva prima e cioè che, al ricorrere delle condizioni di imposizione, anche la spendita di un bitcoin per l'acquisto di un bene (es: caffè) genera in linea di principio un evento impositivo: in tal caso, il costo della criptovaluta viene determinato sulla base del costo di acquisto e il corrispettivo è costituito dal valore normale in euro del bene o del servizio ricevuto in cambio (articolo 68 comma 6 del TUIR).

7. E per le aziende valgono gli stessi discorsi, o possono essere considerate delle "tesorerie" in Bitcoin?

Per le aziende il mondo cambia significativamente poiché è necessario tenere conto dei principi contabili di riferimento per la redazione del bilancio di esercizio e delle posizioni assunte dagli organismi contabili, quando non anche da autorità di vigilanza (ad esempio nel caso di soggetti vigilati quali gli intermediari finanziari). Nel giugno 2019, l'organismo contabile internazionale (International Accounting Standards Board) ha offerto la sua posizione, condivisa anche da organismi contabili di altri paesi (e.g. Australian Accounting Standards Board), in base a cui le criptovalute non potrebbero essere considerate valuta e andrebbero piuttosto inquadrate come "rimanenze" o "attività intangibili". La posizione è diametralmente opposta a quella cui è giunta l'Agenzia delle entrate facendo leva sui principi espressi dalla Corte di Giustizia nel 2015, secondo cui, già nella risoluzione del 2016, "con riferimento, ai bitcoin che a fine esercizio sono nella disponibilità (a titolo di proprietà) di una società si ritiene che gli stessi debbano essere valutati secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio e tale valutazione assume rilievo ai fini fiscali ai sensi dell'articolo 9 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir). Occorre, quindi, far riferimento al valore normale, intendendosi per tale il valore corrispondente alla quotazione degli stessi bitcoin al termine dell'esercizio". L'impressione è che i profili contabili e fiscali relativi alle imprese compongano un'area ancora in parte inesplorata, rispetto a cui in assenza di chiarimenti è solo possibile affidarsi alle brevi indicazioni disponibili sopra riportate.

8. A quali Autorità spetta il controllo di questi processi?

Dal punto di vista fiscale le attività di indirizzo e di controllo sono ordinariamente affidate ad Agenzia delle entrate e alla Guardia di Finanza a cui, ad opera anche di una recente modifica al D.Lgs. 90 del 2017 sulla disciplina antiriciclaggio, sono stati affidati poteri più ampi per svolgere indagini e acquisire documenti con riferimento a cambiavalute di monete virtuali e operatori in servizi relativi al portafogli digitali. Dal punto di vista regolamentare, i poteri di vigilanza e di controllo per la tutela del risparmio e la solidità del sistema finanziario sono affidati a Banca d'Italia e Consob, che negli ultimi anni hanno espresso in più occasioni forti perplessità sui rischi connessi alla detenzione di bitcoin da parte di intermediari finanziari e di offerta di servizi di investimento al pubblico.

9. Le piattaforme per il trading di Bitcoin hanno obblighi di denuncia o di agire come sostituti d'imposta?

Secondo il quadro normativo attuale, le piattaforme sono escluse dalla possibilità (o dal dovere) di assolvere gli obblighi impositivi per conto del titolare di criptovalute per due ordini di motivi. Il primo è che i redditi derivanti dalla negoziazione di valute estere (e pertanto anche bitcoin e payment token) non sono di per sé soggetti a ritenuta, in quanto redditi diversi, e non possono essere inclusi nel regime di risparmio amministrato che comporta che sia l'intermediario presso cui le attività finanziarie sono depositate ad assoggettare ad imposizione i redditi eventualmente conseguiti (articolo 6 del D.Lgs. 461 del 1997). Il secondo l'offerta di servizi di gestione del risparmio, che in linea di principio dovrebbe consentire di includere i redditi di valuta tra quelli oggetti di assoggettamento a tassazione da parte dell'intermediario (articolo 7 del D.Lgs. 461 del 1997), è riservata agli intermediari finanziari, tra cui nel contesto attuale non sembrano rientrare le piattaforme di investimento in criptovaluta. Ne consegue che per imporre alle piattaforme l'obbligo di prelevare ritenute sui bitcoin sarebbe necessaria una espressa previsione normativa.

Con riferimento agli intermediari finanziari è bene tuttavia evidenziare due obblighi che riguardano la detenzione e il trasferimento di valute estere:

  • l'obbligo di comunicare annualmente attraverso il Modello 770 l'eventuale superamento del limite di 51.645,69 euro che fa scattare l'obbligo di imposizione sulle plusvalenze realizzate a cui è connesso l'obbligo di rilasciare al correntista – contribuente una certificazione dell'avvenuto superamento del medesimo limite;
  • l'obbligo di segnalazione all'Agenzia delle entrate di trasferimenti da o verso l'estero di mezzi di pagamento effettuate anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000 euro.

Mentre sul secondo non c'è dubbio che l'obbligo ricada anche sulle piattaforme di scambio di criptovalute, in virtù delle modifiche apportate al decreto legge 28 giugno 1990, n. 167 dal D.Lgs. 90 del 2017, non è chiaro se le piattaforme debbano adempiere anche al primo obbligo.

10. Ci sono legislazioni a livello internazionale che fanno da riferimento per la materia?

I paesi che sono intervenuti legislativamente o amministrativamente sulla disciplina delle criptovalute sono ormai numerosi; tuttavia non è semplice identificare una "legislazione di riferimento", soprattutto perché non è chiaro quali siano i criteri sulla base dei quali esprimere un giudizio di questo tipo. Gli elementi da considerare potrebbero essere molti quali ad esempio la libertà di iniziative aventi ad oggetto criptovalute, la tutela del risparmio, la presenza di un basso livello di tassazione, la disponibilità di quadri normativi d'avanguardia. A ben vedere non tutte queste aree sono correlate e anzi in alcuni casi possono entrare in conflitto; si pensi ad esempio al fatto che ecosistema altamente deregolamentato potrebbe nascondere rischi per i risparmiatori.

Consapevoli di questa difficoltà e dell'interesse di identificare il contesto più favorevole per sviluppare iniziative imprenditoriali in un business per definizione globale, nel 2020 PwC ha promosso a livello globale un'indagine sulla legislazione di circa 30 paesi con l'obiettivo di attribuire un punteggio sulla base della completezza e della chiarezza della disciplina, da cui sono stati esclusi solo i paesi che presentano restrizioni alle transazioni in criptovalute totali o particolarmente significative.

11. A chi spetta fare chiarezza?

Gli organismi internazionali coinvolti sono numerosi, come numerosi sono i documenti di indirizzo pubblicati e i progetti avviati. Tra i più rilevanti e recenti a livello europeo ci sono:

  • la proposta della Commissione Europea di estendere gli obblighi sullo scambio di informazioni aventi ad oggetto i conti e le attività finanziarie (c.d. CRS) previsti dalla Direttiva 2011/16/EU,
  • le indicazioni offerte dalla BCE e
  • gli atti di indirizzo delle autorità europee di vigilanza (ESAs).

A livello internazionale, è da segnalare l’attività del Financial Action Task Force del G7 avviata già nel 2014 e il progetto avviato dal OECD sulla blockchain e le criptovalute, in seno a cui recentemente è stato avviato un progetto specifico sulla tassazione delle criptovalute documentato dal report pubblicato alla fine del 2020 dal titolo “Taxing Virtual Currencies: An Overview of Tax Treatments and Emerging Tax Policy Issues”.

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