Uno striscione dal contenuto diffamatorio, grondante odio nei confronti dell’Associazione nazionale dei partigiani, potrebbe costare il processo a tre esponenti di CasaPound, già coinvolti nell’inchiesta che, nel settembre 2018, portò al sequestro della sede di via Eritrea, mai più riaperta.
Un avviso di conclusione delle indagini preliminari — per il reato di diffamazione aggravata dall’odio nazionale — è stato notificato ai baresi Giuseppe Alberga ( 44enne, già coordinatore provinciale del movimento di estrema destra), Giacomo Pellegrini ( 28 anni) e Luigi Fresa ( di 19 anni). Quest’ultimo era minorenne all’epoca dell’aggressione squadrista nei confronti dei manifestanti del corteo anti- Salvini, avvenuta nel quartiere Libertà il 21 settembre 2018. Il suo nome, così come quelli di Alberga e Pellegrini, compare tra i 28 imputati del processo per ricostituzione del partito fascista, in corso davanti al giudice monocratico, che il 21 dicembre ha rispedito gli atti alla Procura, per una nuova richiesta di rinvio a giudizio, in virtù del fatto che i reati contestati sono di competenza del tribunale.
di CHIARA SPAGNOLO
La nuova contestazione a tre esponenti di CasaPound, formulata dal pm Lanfranco Marazia all’esito delle indagini della Digos, riguarda invece l’affissione di uno striscione offensivo per l’Associazione partigiani sul ponte che collega corso Cavour a viale Unità d’Italia. Il manifesto comparve il 12 febbraio dell’anno scorso, a distanza di soli due giorni dalla giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe, e recitava così: "Anpi difende i titini? Negazionismo e quattrini", con tanto di firma di CasaPound apposta tramite il logo della tartaruga.
Di « vergognosa strumentalizzazione di una tragedia » aveva subito parlato il presidente dell’Anpi barese, Ferdinando Pappalardo, che aveva presentato denuncia in Procura. Immediatamente erano scattate le indagini della Digos, che aveva rimosso lo striscione e ricostruito l’identità di Pellegrini e Fresa analizzando alcuni filmati delle videocamere di sorveglianza installate nella zona. Pochi dubbi, da parte dei poliziotti, sul fatto che fossero stati loro ad affiggere lo striscione. Erano state quindi disposte perquisizioni personali, nell’ambito delle quali erano stati sequestrati i telefoni.
Nelle chat gli investigatori hanno trovato la conferma alle loro ipotesi e sono riusciti ad arrivare anche ad Alberga, indicato con un nick name ma evidentemente considerato come il referente di quel movimento che, dopo il sequestro della sede, sembrava essersi eclissato. Stando a quanto ricostruito, nei giorni precedenti il 12 febbraio, i tre indagati si erano scambiati numerosi messaggi whatsapp e Alberga aveva fornito agli altri due le indicazioni utili sul luogo in cui si era deciso di affiggere lo striscione e anche su alcune accortezze da utilizzare nella speranza di non essere identificati. Un tentativo inutile, visto che la polizia è arrivata a loro e l’avviso di conclusione indagini è ora diventato il preludio di un processo.Original Article
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