Alle Olimpiadi invernali in Corea, nel febbraio 2018, i russi potevano fare alcune cose, e altre no. Potevano giocare a hockey, sport che sanno fare molto bene, e infatti vinsero il torneo. Non potevano presentarsi come Russia, nè sentire il loro inno o vedere salire la bandiera dopo aver vinto un oro, perché il comitato olimpico era sospeso per il doping-gate e tutto avveniva sotto le insegne del Cio, inno compreso. La reazione dei formidabili hockeisti fu molto semplice: al momento della premiazione, intonarono a squarciagola l'inno proibito, seguiti dal numeroso pubblico atterrato in Corea sopratutto dalle repubbliche orientali della Santa Madre Russia. Ora, quasi tre anni dopo, l'emblema dell'orgoglio russo ferito diventa una canzone. Non una canzone qualsiasi, ma una melodia popolare divenuta marcia di guerra durante il secondo conflitto mondiale.
di
Cosimo Cito
Ai Giochi di Tokyo, se non saranno fermati una seconda volta dal Covid, e a quelli invernali di Pechino 2022, gli atleti russi vogliono presentarsi con Katyusha. Nemmeno in Giappone e in Cina avranno la bandiera, le divise ufficiali, per la squalifica confermata dal Tas sulle manipolazioni del laboratorio antidoping di Mosca. Ma sull'inno, hanno le idee chiare. "Abbiamo discusso sull'accompagnamento musicale" ha spiegato Sophia Velikaya, campionessa olimpica di scherma e capo della commissione atleti. "Abbiamo diverse versioni di questo inno, anche moderne, è una canzone patriottica conosciuta non solo dai russi, ma anche dalla comunità internazionale, e piace pure ai bambini. Questo abbiamo proposto all'Esecutivo del Cio".
di
Mattia Chiusano
Già, ma cosa ha di speciale Katyusha? Scritta nel 1938 da Matvej Blanter, racconta di una ragazza che si congeda dal fidanzato in partenza per il fronte, divisa tra dolore e orgoglio. Nata in tempo di pace, la melodia cominciò ad accompagnare davvero la partenza dei soldati per combattere l'invasione nazista. Nella battaglie più sanguinose dell'operazione Barbarossa voluta da Hitler, nelle trincee di Stalingrado, veniva cantata per rincuorare le truppe, identificando presto il suo motivo col sacrificio dei russi (27 milioni di morti), il loro spirito patriottico e combattivo. E i loro missili, ribattezzati appunto Katyusha. Nel 1943 la canzone era già uscita dai confini del Paese, per diventare patrimonio di tutti: i partigiani la trasformarono in Fischia il vento, col tempo l'avrebbero reinterpretata Milva, i Modena City Ramblers, anche un rapper come Izi. Ma gli atleti russi hanno tolto qualsiasi alone pop alle sue note: Katyusha torna ad essere inno di resistenza, per contrastare sanzioni decise, secondo l'interpretazione non solo dei dirigenti di Mosca, da un blocco occidentale ostile. Una visione che contrasta con i numerosi report sul doping russo alla base delle sentenze del mondo sportivo.
Certo non sarà il sospeso comitato olimpico a decidere se presentarsi a Tokyo con Katyusha. Ad avere l'ultima parola sarà il Cio, che già in Corea fornì bandiera a cinque cerchi e inno agli atleti ammessi a partecipare dopo la selezione di una commissione indipendente. Se arrivasse il via libera, non sarebbe la prima volta che la musica popolare irrompe nel rigido cerimoniale olimpico. Dal 1956 e 1968 fece il suo ingresso nientemeno che Ludwig van Beethoven. La Germania scelse l'Inno alla gioia per rappresentare quella squadra del dopoguerra in cui convivevano ovest ed est. Una Germania unita che sopravvisse pochi anni alla costruzione del muro, e si sarebbe ricongiunta nel 1992 a Barcellona. Ma di gioia, nella scelta dell'inno russo c'è ben poco.
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