Per descrivere il transfert e le sue vicissitudini Jung si serve di un testo alchemico illustrato del tredicesimo secolo, il Rosarium Philosophorum. La prima immagine è una fonte mercuriale: psichismo e vitalità del mondo. A seguire, le tappe del viaggio di una coppia regale: re e regina (ma anche sole e luna, sopra e sotto, maschile e femminile). Jung dice che il momento cruciale del transfert è la coniunctio, quando forze psichiche contrapposte s'incontrano e iniziano a intonare il preludio dell'individuazione. Per gli alchimisti è la vile materia che si trasforma in oro o in pietra filosofale.
Vivian Lamarque sarebbe piaciuta a Jung perché anche lei racconta una fiaba sul transfert. S'intitola Il signore d'oro ed è tessuta di poesie e prose poetiche che dedica al suo analista B.M.
Nel Rosarium di Vivian il re e la regina degli alchimisti diventano il signore e la signora. Lei è imprevedibile nelle sue invenzioni e così lui di volta in volta è il signore gentile, il signore mai, il signore intoccabile, il signore loden, il signore usignolo, il signore neve, il signore rapito e così via.
In questa "storia di un'analisi", sottotitolo scelto dall'autrice, secondo me anche la paziente è una signora d'oro. Una donna timida e indomita, capace di coprire l'analisi dei traumi con la polvere d'oro della poesia. Come il kintsugi dei giapponesi: riparare con l'oro. In dono ci lascia la pietra filosofale della sua scrittura di puntigliosa puella. Ma lasciamo che sia lei a raccontare: "Tutto era iniziato (finito mai) il 14 febbraio del 1984, avevo 38 anni". "Quel giorno del 1984 ero giunta a pezzettini, il mio Dottore mi aveva rammendata tutta, alternando interventi con anestesia ad altri senza". Scelse un collega junghiano "che aveva studio quattro gradini sotto il livello stradale, in un bel palazzo vicino alla Rai di Corso Sempione, con tutte quelle antenne, quelle grandi orecchie". "Era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui./Alla loro destra sinistra c'era una finestra/alla loro sinistra destra c'era una porta./Non c'erano specchi eppure in quella stanza/profondamente ci si specchiava". Questo il setting dell'analisi di Vivian, dove impetuoso e bisognoso (di un amore capace di vederla bene, di distinguerla) si rivela il suo transfert. È quando alla parola transfert cadono le virgolette: "La realtà non c'era, era abdicata./ Splendidissima regnava la vita immaginata".
L'amore in analisi è inconscio attivato. E così per due anni Vivian scrive fogli su fogli e li dedica tutti al suo analista in forma di signore. Arrivata al duecentesimo signore, Giovanni Raboni le consiglia di far leggere quei fogli a Nicola Crocetti, che decide di pubblicarli. Lei ne sceglie 80, lasciandone almeno 120 in una cartellina. Oggi, con una nuova toccante introduzione, Il signore d'oro torna a risplendere in libreria. "Quanto ha dovuto lavorare il mio dottore", dice Lamarque. Ne sono sicuro, ma so quanto ha lavorato lei per riconoscere e mettere in versi i grandi temi di un'analisi (e di una vita): accoglienza, frustrazione, confini, cocciutaggine, gelosia, premura, prepotenza, sincerità.
Al trauma della perdita che l'ha tenuta a battesimo, Vivian riesce a donare un tono lieve ("A cosa servono i baci se non si danno?"), e questa è una sua gentilezza per il mondo. Ma solo uno sciocco non capirebbe l'invito: "La mia superficie è felice/ma venga, venga a vedere/sotto la vernice". Come diceva Raboni, la sua semplicità è quasi feroce. Come la consapevolezza: "Credevo non mi amasse/perché è vietato/invece forse non mi ama/perché non è innamorato?".
Jung diceva che il mistero dell'analisi è racchiuso nella coppia paziente-terapeuta e non può essere tradito dalle parole o esaurito dalle argomentazioni. Ma può essere affidato alla poesia. Di Vivian Lamarque.
Il libro. Il signore d’oro di Vivian Lamarque (Crocetti, pagg. 96, euro 11)
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