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Fonseca, i leader e le alternative: perché con le big la Roma si fa piccola

Quella che fino a ieri era solo una tendenza molto accentuata, adesso è diventata una domanda. La Roma ha un problema: l'incapacità cronica di battere le concorrenti dirette. Ma il rovinoso derby perso con la Lazio, oltre a mettere l'accento su questo vizio, pone l'inevitabile interrogativo: perché?

I limiti di Fonseca

I numeri sono impietosi. Contro le squadre dal 10° al 20° posto, tolto lo Spezia con cui deve ancora giocare, la Roma ha sempre vinto. Dieci partite, 30 punti, 29 gol fatti e appena 8 subiti. Ma con le big la storia cambia drasticamente: 8 incontri, 5 pareggi (uno trasformato in sconfitta a tavolino, a Verona), 3 sconfitte, 18 gol subiti e solo 8 fatti. Inevitabile chiedersi cosa succeda. Una risposta potrebbe portare a mettere nel mirino l'allenatore Paulo Fonseca. L'impressione è che contro le squadre dalla metà della classifica in giù è sufficiente la qualità dei singoli – Dzeko, Mkhitaryan, Pellegrini, Veretout, solo per citare alcuni dei più influenti – per vincere. Ma quando il livello della competizione si alza, è come se alla squadra mancassero strategie alternative al canovaccio base. Una volta imbrigliato, il tecnico non riesce a portare la squadra fuori dall'impasse. E anziché cadere, rovina rumorosamente: 4-0 a Napoli, 4-1 a Bergamo e 3-0 contro la Lazio.

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di

Jacopo Manfredi


L'assenza di un leader

L'altra ipotesi, spostando l'obiettivo sulla squadra, riguarda la personalità dei singoli. Dal capitano Dzeko in giù, alla squadra manca un vero leader. Il gruppo finora lo ha trascinato un nucleo italiano composto da Mirante, Pellegrini, Cristante, Mancini, con l'aggiunta di Mkhitaryan. Un nucleo solidissimo, che in un momento in cui l'allenatore scricchiolava e la società cambiava timonieri col passaggio da Pallotta a Friedkin, ha tenuto insieme i pezzi del puzzle a cui parevano venire meno le certezze. Un merito da non dimenticare. Nessuno di loro però è un trascinatore in campo. Quello che è stato Ibrahimovic per il Milan o che è Conte per l'Inter, alla Roma manca. Soprattutto quando il livello della contesa si alza.

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Gabriele Romagnoli


Il valore delle alternative

La terza e ultima questione è la più ambigua. Ossia la lunghezza della rosa. A volte nei grandi scontri l'impressione è che i migliori della squadra arrivino con la lingua di fuori. A guardare la panchina, i cambi non mancherebbero: da Cristante a Kumbulla, da Mayoral a Pedro, da Bruno Peres a Carles Perez. Difficile dire se dipenda dalla qualità delle alternative o se Fonseca sia troppo testardo nel puntare su pochi uomini lasciando agli altri le briciole, quando non è obbligato a impiegarli per defezioni o forfait. Certo anche la proprietà, sin qui silente, dovrà interrogarsi, insieme al general manager Tiago Pinto, su quale sia la causa di un male che, se non sarà curato, rischia di depauperare il tesoro di punti che contro le piccole la Roma è riuscita a mettersi in cassa.

Roma, Fonseca: "Due gol regalati e tutto è diventato più difficile"


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